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ippolito pindemonte | 207 |
piacque particolarmente così nella traduzione, come nelle note. Se ci vedremo in luglio, come mi avete fatto sperare, parleremo così di queste cose come de’ Sepolcri, che molti qui leggono e lodano grandemente. Mi rallegro intanto con voi, e vi ringrazio del bellissimo esemplare che ho ricevuto jersera. Gl’indirizzi in greco, in latino ed in italiano degli esemplari diversi furono l’argomento di tutta la conversazione di jersera nella camera d’Isabella. Non ho, ancor veduto il Bettoni. Ho bensì interrogato tosto i miei versi, e questi mi risposero, che si compiaceranno assaissimo di essere da lui ristampati. Per verità il vostro Omero è stampato mirabilmente. Addio, bravissimo Ugo. Salutatemi l’illustre vostro amico ed antagonista omerico (Monti), e credetemi sempre
«il vostro Pindemonte».
Già nel 1809 traduceva egli i primi due libri dell’Odissea e vi allude nel carme sui Sepolcri1: ma vedute le osservazioni che all’Iliade del Monti fecero i tre eruditi, che «le diedero quasi nuova vita» per confessione del Monti stesso, Ippolito prese un modo più severo. Discreta è la conoscenza del greco ch’egli vi mostra; pretese dar fedelmente Omero nella sua semplicità: ma questa è elegantissima, per esempio, come i trecentisti o un toscano, e il verso fluido e limpido, mentre Pindemonte casca nel triviale della lingua, e ha versi duri prosastici:
Tutti s’alzaro nelle risa dando.... |
E per vero, chi legge i primi dieci libri, memore della vivace eleganza del Monti, li trova freddi e nojosi; ma se procede agli altri, dove anche l’originale divien monotono, s’accorge che s’addice affatto a quell’opera il tono scelto dal Pindemonte.
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Del meonio cantor sulle immortali
Carte io vegghiava, e dalla lor favella
Traeva io nella nostra i lunghi affanni....
Ma tu, d’Omero più possente ancora,
Tu mi stacchi da Omero.