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ippolito pindemonte | 205 |
piacermi, ma sono scrupoli, che mi vergogno di consegnare alla carta, benchè questa, secondo Cicerone, non arrossisca, e che invece vi comunicherò a bocca alla prima occasione, se vorrete sentirli, e burlarvi alquanto di me. Tutti gli esemplari sono andati al loro destino, eccetto quello per la Vendramin; poichè essendo sventuratamente per andar nel sepolcro il fratello suo, non mi parve opportuno il mandarle ora i Sepolcri vostri. Non vi parlo d’Isabella (Teotochi-Albrizzi), perchè so che v’ha scritto. Addio, illustre amico; spero che in Brescia vi troverà questa mia, ch’io già termino con assicurarvi della più alta e più affettuosa mia stima”.
Dappoi gli diresse il noto carme, dandogli il ben modesto titolo di “ingegno non mediocre”; risposta ben lontana dal lirismo e dalla forza della proposta, ma anche dalla sua classica empietà. Gli rimprovera che “stenda voli si lungi da noi tra l’ombre della vecchia età”, ben potendosi trarre poetiche scintille da oggetti men lontani che Troja ed Elettra; e come protesta contro quel suo detto che “anche la speme, ultima Dea, fugge i sepolcri”, descrisse i nostri camposanti e la fiducia della risurrezione che li disacerba. Ciò. mitighi l’accusa che gli si fa di non aver appuntata al Foscolo la mancanza di fede.
I suoi Sermoni, non sono nè fieri come quei di Giovenale, nè argutamente semplici come quelli d’Orazio, dileticando non mordendo difetti sociali, come il portar in campagna le abitudini di città, gli scherzi soverchi in società, l’importunar i convitati a mangiare e bere; il viaggiare senza nobili intenti, descrivendo come buon Veneto, e, se non si avesse per ingiuria quel ch’è storico, direi come un buon Pantalone. Pur vide e deplorò i tempi quando,
Spenta del ver la bella luce, i buoni |
Non ci ricorda ch’egli abbia mista la sua voce ai mille che insultavano ai caduti e inneggiavano la forza, predominante sotto la ter-