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di mente che il conte di Saurau governatore di Milano, in cui tutta posavasi la podestà governativa, fu quello che con replicati dispacci diè moto a questo grande lavoro, al quale l’Istituto, occupato allora in materia di maggior momento, non potendo interamente dedicarsi, commise a me di pubblicare le mie critiche osservazioni di Vocabolario della Crusca (alle quali poi diedi il titolo di Proposta, ecc.), onde il Governo per prove di fatto vedesse che l’Istituto, malgrado delle sue serie occupazioni, non dimenticava i supremi comandi. E ricordatevi che l’Istituto, per le spese di stampa, fin da principio mi assegnò il soccorso di mille cinquecento franchi, con altre duemila lire austriache, delle quali mi fu liberale al finire dell’opera. Ecco lo storico documento di cui ho bisogno, e di cui caldamente vi prego, e spero che, per onore della nuda e pura verità, ed anche per pietà della sventura in cui sono caduto, spero, dissi, che il nostro ottimo Carlini mi sarà cortese, estraendolo dagli Atti dell’Istituto, col transunto delle lettere di S. E. Saurau, e con quelle considerazioni che, senza uscire dal vero; più possono farmi onore, toccanda l’effetto che la Proposta ha prodotto in tutta l’italiana letteratura; al che può molto conferire il giudizio portatone ultimamente in due articoli della Biblioteca Italiana, scritti con mirabile eloquenza e filosofia dal consigliere Zajotti, e stampati anche in fascicolo separato, e nuovamente ristampati dallo Stella nell’Appendice alla Proposta, uscita ultimamente alla luce.

«Mio caro amico e benefattore, io porto sempre scritta nel cuore la generosa liberalità con cui mi avete spontaneamente sovvenuto ben d’altro che di parole. Al presente non chieggo che l’efficacia delle vostre parole presso Carlini e l’onestissimo Cesari. Non mi abbandonate adunque in un punto di tanta importanza, e ridarete la vita al vostro povero storpio».

Partendo dalla villeggiatura dell’Oriani, la Costanza Monti, il 24 maggio 1823, vi lasciava questi versi, inediti come la lettera qui sopra:

Egra e già morta a qual si sia diletto,
     Venni a Te, piena il cor d’alto rispetto;
     Ed or partendo, a Te piena d’amore,
     Cortese ospite mio, lascio il mio core.
Gradisci il dono, e se d’averlo caro
     Vuoi darmi prova, adempi la speranza
     Di venir presto nel suo stato amaro
     A consolar la tua serva Costanza.