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176 | illustri italiani |
sono vive, e si danno per morte, e di morte che si danno per vive, e non han più soffio di vita; di tanta confusione dei sensi proprj co’ figurati; di tanti passi d’autori stortamente compresi, in somma di tante nuvole prese per la Dea, che il disgombrarlo da tutta questa selva d’errori è sudore di molto tempo e di molte fronti. E a tutto cielo s’inganna chi a ciò spera soccorso dal Cesari e dal Bergantini: poichè sì l’uno e sì l’altro piglia per buono e per santo tutto che trovasi nella Crusca: e il Cesari per aggiunta non solo ne copia ciecamente tutti i peccati, ma ve n’accresce buona derrata di proprj: il che fu fatto già manifesto nei dialoghi del Poligrafo.
“La riforma adunque del Vocabolario, in ciò che dipende dall’augumento delle nude parole, è lavoro di corta lena; e i Bergantini trovansi dappertutto. Ma. la sua ìntima correzione dimanda intelletti nudriti di miglior critica, colla quale ben si sappia estimare il valore delle parole, e ben segregare dalle infette le sane, e ben confortarle di classica autorità; e finalmente metter la scure non del pedante ma del filosofo, agli errori già stabiliti, e stirparne e svellerne le radici.
“Terminato questo duro lavoro, resta l’altro, nulla men faticoso e nel Vocabolario della Crusca sì trascurato, quello di una ben ordinata etimologia, per mezzo della quale illustrare, e accuratamente distinguere in primitiva e derivativa l’origine delle parole, onde, conosciuto il tronco generatore, agevolmente conoscerne i generati. Indi l’altro pur pieno di molte spine, quello cioè dell’ortografia, soggetta a tante variazioni quante son le pronuncie, e divenuta al presente, un orribile guazzabuglio mercè delle Giunte Veronesi, le quali a tutto potere, con tanto pericolo della non pratica gioventù, e con tanto inganno dello straniero, hanno rimessa in campo l’ortografia dell’imperator Federico e del suo segretario Pier delle Vigne; l’ortografia insomma dei Ducentisti e Trecentisti, che niuna affatto ne conoscevano.
“Emendati i vizj del Vocabolario, e provveduto con nuove voci al bisogno delle arti e delle scienze, resta che vi si aggiungano le eleganze del favellare, dalla Crusca dimenticate; dico le locuzioni, nelle quali consiste principalmente la grazia e la venere della favella. E di queste è già pronta buona ricolta.
“Fatta ragione alla prima parte delle osservazioni, sulle quali è piaciuto all’E. V. di chiamar l’attenzione dell’Istituto, è suo stretto dovere l’aprire adesso il suo animo sulla seconda, nella quale l’osservatore primieramente ci porge il cortese consiglio di render pubblico l’invito ai dotti del Regno di somministrare vocaboli e frasi. Indi pone in mezzo il quesito, se l’Istituto, pria di venire alla pubblicazione del suo lavoro, debba procedere ai concerti coll’Accademia della Crusca.
“Egli è vano il ripetere che, nella riforma del Vocabolario Italiano, il punto dei vocaboli e delle frasi è il minimo degli oggetti, e che il primo da contemplarsi e il più arduo da eseguirsi è il purgamento de’ suoi errori. In quanto poi al consiglio di render pubblico quell’invito, l’Istituto