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appendice d 175

porge indici distintissimi, e vi comprende ancor quelli che, per partito preso nell’adunanza del 1786, furono aggiunti al catalogo dei classici padri della favella.

“Non meravigli Vostra Eccellenza se, nella difesa dell’Alberti, l’Istituto prende qualche calore. Imperocchè, appresso le più riposate considerazioni essendo egli venuto nell’opinione che il Dizionario Universale critico enciclopedico della lingua italiana dell’Alberti sia l’unico da cui si possa sperare molto sussidio alla compilazione del nuovo Vocabolario, parea convenevole il dissipare dall’animo di Vostra Eccellenza ogni sinistra impressione intorno a quell’opera, onde poi non venisse riputato insano il giudizio di chi la segue. Nè l’Istituto, anteponendo l’Alberti al Cesari e al Bergantini, intende di non voler chiamare in ajuto del suo lavoro ancor le fatiche di questi due. Intende solo di dire che scarso è il profitto che sen può trarre. Non dal Cesari, perchè egli insozzando di tante voci del tutto morte il vivo fior della lingua1, sembra non aver avuto altro divisamento che ricondurre l’Italia all’infanzia della favella. Non dal Bergantini; perchè, siccome si è detto, la sua collezione (nella quale l’Istituto per vero avea poste molte speranze, allorchè il cessato Governo, a consiglio del fu cavaliere Lamberti, ne fece a caro prezzo l’acquisto), esaminata dopo e discorsa pazientemente, null’altro si è trovato che un inerte e vasto coagolo di parole, e il Lamberti morendo ha portato seco il dolore d’aver consigliata sì mala spesa.

“E poniamo che in quella collezione sien molte voci meritevoli di esser mantenute. Alla fin fine il vantaggio che ne deriva, in soli e nudi vocaboli si risolve. Ma ben altro che di vocaboli è l’impresa di che si tratta. Il Vocabolario, di cui la sapienza del Governo, e diciam pure tutta l’Italia, desidera la riforma, è il grande Vocabolario della Crusca, da noi tenuto finora come sacro e inviolabile codice della lingua. Or questo Codice, dinanzi a cui tremano le superstiziose coscienze degli scrittori, è seminato di tante voci mal dichiarate sì nel latino e nel greco come nell’italiano; “di tante che furono traviate dalla lor vera significazione; di tante che vanno prive di esempio, mentre mill’altre ne soprabbondano; di tante che

    rio. Di fatto, dopo d’averci dato l’Alberti, alla faccia XLIV che viene in seguito alla sua Prefazione, l’Indice degli scrittori scelti che per partito preso (com’egli asserisce) nel 1786 furono giudicati meritevoli d’essere adottati; due altri indici ne porge di altri autori (faccie XLV, XLVI), che oltrepassano i quaranta, e le opere dei quali ivi ricordate non sono state approvate dall’oracolo della Crusca” (Contr’osservazione d’uffìzio).

  1. Se fosse men comune nel Monti il variare, questa giusta venerazione del parlar vivo sarebbe a raffacciare alle sue teoriche dello scriver colto, cortigiano, illustre, che segue grammatica, non uso. L’errore del Cesari consistette nel proporre i trecentisti come testimonj dell’uso, non ancora adulterato dalla scienza, anzichè ricorrere direttamente all’uso, che ripudia alcuni, adotta altri vocaboli e modi.