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è gran vizio. Perciocchè nell’esatta compilazione d’un vocabolario, l’esame della parola dee precedere all’ammissione della medesima. Or come può egli l’intelletto esaminatore giudicar rettamente della virtù del vocabolo che si propone, se non ne vede prima l’esempio? Le parole, solitariamente considerate, non sono che inerti immagini delle cose, e male si può conoscere se quella immagine sia efficace e fedele ove non si vegga posta in azione: che la sola azione delle parole, ossia la locuzione, ne fa sentire il vero valore. E a questo necessario giudizio è cosa impossibile il pervenire dirittamente e salvi da inganno, senza l’esempio.

“Di più. La poca messe de’ buoni vocaboli, che in terreno classico fu raccolta dal Bergantini e pubblicata nel 1745 nella sua Appendice alla Crusca, è già stata tutta riposta nell’edizione della stessa Crusca, fatta in Venezia dal Pitteri dopo il 60. Di qui procede lo sbaglio dell’osservatore1, che immeritamente accusa l’Alberti di poca onestà, perchè ri-

  1. “Si raffrontino la Crusca nel 1763, e l’Alberti del 1797 con le Voci italiane del Bergamini, stampate nel 1745.
    “Nelle tre prime facce di queste Voci italiane non sono registrate che 132 parole in tutto; eppure 67, che è quanto dire più della metà, si leggono nell’Alberti, ma non nella Crusca. Eccole nel qui acchiuso foglio segnato n.° 1. Si noti che quelle distinte con un asterisco (e montano alla rilevante quantità di 37) sono attribuite agli stessi autori tanto dal Bergamini quanto dall’Alberti. Per rispetto poi alle altre, il Bergamini cita bensì gli autori dai quali le trasse, ma l’Alberti li tace, ed il perchè n’è chiaro. Esse sono in gran parte usate da uomini che non hanno alcun credito nel fatto della lingua, se pure ne hanno alcuno anche nelle materie, delle quali hanno preso a trattare, cioè dal Battaglini, dal Toscanelìi, dal Garzoni, dal P. Casini, dal Vanozzi, dal Liburnio, dal Galli, dal P. Oliva.
    “E laddove rimanesse ancor qualche dubbio circa l’avere l’Alberti inserite nel suo Dizionario parole che la Crusca non ammise e che si leggono nel Bergamini, e l’avere egli taciuto i nomi degli autori che ne fecero uso, perchè non approvati, diasi un’altra occhiata alle Voci italiane dalla faccia 5 alla 20; poscia vadasi per salto alla 236, e si vedrà (foglio II) quante e di qual non comune carattere se ne abbiano; e queste appartengono (oltre il Battaglini, il Toscanelìi, ecc., rammentati disopra) al Tesauro, al Ruscelli, al Partenio, al Priscianese, allo Stigliarli, al Silos, al Panigarola, al Pinamonti, al Della Barba, al Muzio, al Rau, all’Aleandri che difese il Marino, al Grillo, al Sanseverino, al Bertoldo con Bertoldino e Cacasenno. Quanti, stando a queste proporzioni, non saranno essi i termini che l’Alberti ricavò da tutta l’opera del Bergamini, che è di 432 facce?
    “La gran quantità dunque delle stesse stessissime parole che si hanno in tutti e due i mentovati vocabolaristi senza che le abbia la Crusca, e l’essere il Dizionario dell’Alberti posteriore di tanti anni a quello del Bergamini, varranno a dimostrare, più che qualunque ragionamento, se possa supporsi incontro fortuito; e se non piuttosto il primo siasi servito delle fatiche del secondo senza mai citarlo” (Contronota d’uffizio. Ommelto le liste di parole).