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156 | illustri italiani |
impiego, furono da me fortemente esortati d’astenersi dalla mia casa, dove cercando schietta e povera amicizia, si troverebbero involti nelle persecuzioni de’ ciarlatani; e quasi dello stesso tenore ho parlato a Carlo Catena, perchè lo ridicesse al cavaliere Tamassia, il quale mi fece intendere che tutti gli amici miei patirebbero per mia colpa. Rispetto a’ ministri, ho decretato da più settimane d’allontanarmi dalla loro ospitalità, acciocchè niuno nel ferir me possa più obliquamente ferire, con nostro e pubblico danno, il loro nome. Ma voi vedete ch’io, dimorando in Milano, non posso in ciò fare la mia volontà senza parere villano o stravagante con essi, ed avvalorare così le ciarle dei novellisti. E poichè in quindici anni non ebbi nulla di celato per voi, udite per l’ultima volta i miei minuti secreti. Aspetto di vendere in massa, anche per meno del prezzo che mi sono costate, le copie del Montecuccoli, e i pochi libri ed arredi lasciati in pegno a Pavia, dove per dovere di galantuomo pago ancora un affitto gravoso. Così soddisfatti i miei creditori, e rinunciando, come ho già fatto, a tutte le speranze d’impiego, accomodandomi da quasi un anno alle rendite mie, che di poco passano le lire duemila all’anno, andrò in luogo più oscuro a dare tutta alle lettere l’età forte che ancora mi avanza; e quand’anche, perdessi, come ad ogni cangiamento di ministero e di pubblica economia può presto e facilmente avvenire, le mie pensioni di riforma, andrò a cercar pane in terra straniera; e se l’indigenza superasse le forze della mia vita, io son certo, che non v’è terra, la quale possa contendermi l’onesta e libera morte, a cui m’apparecchio sino dal giorno ch’io vidi tutto incerto e tutto facile ad avvilirsi ed a macchiarsi nel mondo. Ma fino a quel punto cercherò compiacenza libera e santa nell’arte mia, e spererò ricordanza onorata dalla mia patria.
De’ miei pericoli adunque non importa che siate sollecito. Non ho scritto per collera contro i ciarlatani, dacchè niuno di loro può sostenere la mia presenza; e questo doveva e deve bastarmi. Ho scritto bensì per onore dell’arte mia e per amore della gioventù, e ho già calcolato ogni cosa. La parte più vile del genere umano, che assaliva voi venendo addosso a me, si scoprirà... si scoprirà da sè stessa. Siavi d’esempio il Bettoni, che, nel calunniarmi come suo debitore, s’avvedrà d’essersi dato la scure sui piedi.
Socrate, Locke, D’Alembert dissero le medesime cose, e patirono più di me! Non ch’io sudi i pericoli, ma l’uomo di onore non deve tacere, per timore, le opinioni utile vere; e se il sacrificarsi inutilmente è pazzia, il sacrificare il pubblico bene fu sempre viltà. Io non ho certamente l’ingegno, nè avrò la millesima parte di gloria di quei grand’uomini che vi ho nominati; ma io, che non ho ricchezza, nè onori, nè certezza di sepoltura, devo almeno serbare con religione la compiacenza di obbedire alla mia natura, e di nutrirmi dell’amore per le lettere e per l’Italia.
Ma io vi prego ad un tempo di non intricarvi mai in queste misere gare, e di non difendermi mai, qualunque sarà per essere il danno ch’io forse vado affrontando. Voi invece dovete essere ornai stanco, ed avete obblighi più santi di padre di famiglia. Non accettate la vittima che i ribaldi vi