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appendice b | 153 |
mi credeva capace di sì vili vendette risposi, che il Ceretti era capace di tutto, e che se mai quel poema uscisse alla luce mentre io avessi ancora voce e braccio, avrei gridato a tutti e per tutto che il Ceretti aveva cercato di calunniare il Cicognara suo benefattore recente, e calunniarlo appunto nei giorni che era carcerato e perseguitato. Ma io raccapriccio pensando ai letterati che possono proditoriamente e implacabilmente insidiare l’innocente, anche dal fondo del loro sepolcro.
Da queste maniere tenute dai Tersiti, per azzuffarvi con un avversario ch’essi credono più onorato de’ Filebi e compagnia, e meno placabile dei Bettinelli e dei Mazza, ho congetturato quanto possono avere tentato per irritarvi contro di me. Io per altro non voglio indagare cosa veruna; e benchè io vi conosca meno incredulo di me, non desidero che mi palesiate persona del mondo, nè mi reputo sì reo da scolparmi. Solo vedo ciò che mi cade naturalmente sott’occhio... Lampredi, Bettoni ed altri, nel lodar voi ne’ libelli e nelle gazzette sparlano direttamente e obliquamente de’ miei scritti, e si stampa ch’io vi minaccio. Carlo Catena, che pure non sa di greco, mi disse d’aver udito da Lampredi, che questi v’aveva eletto Mecenate della critica contro il mio tentativo intorno ad Omero, inserita nel Corriere delle Dame. Infatti osservando la dedica, vidi nel vocabolo nicoro le radici greche del verbo vincere e del sostantivo monte; ne’ nomi assunti dal critico parmi vi siano gli equivalenti di urbanità e di lampreda; di questi due ultimi vocaboli non sono certissimo come de’ primi, perchè in casa non ho nemmen dizionario.
M’avete, in casa Venèri, alla presenza del senatore Stratico, detto ch’io m’accorgerò forse un giorno quale amico io mi abbia perduto in voi. Ora io, con vero dolore per me stesso e per voi, vi confesso che me ne vado accorgendo ornai da più mesi. La colpa è tutta della mia natura, dacchè non ho potuto dissimulare la mia dissensione da molte vostre opinioni. Ma vi prego di considerare, mio caro Monti, che appunto alla costanza d’ogni mia opinione ho sempre sagrificato e sagrifico la comodità della vita, la lusinga d’onori e perfin la speranza di morire tra le braccia di parenti, d’amici e di cittadini. In quindici anni che ci conosciamo, voi m’avete veduto sempre or onorato, or vagabondo, or perseguitato, or lusingato, or vizioso, or favorito ed or negletto dai grandi, ma poverissimo sempre; nè potete ricordarvi mai d’un solo minuto, nel quale io mi sia allontanato da’ miei principj, o mostrato timido ed avvilito. Così mi sono educato alla povertà, e m’apparecchio alla morte in terra straniera. Una unica volta in tanti anni di famigliarità m’avete veduto piangere, e solo per la mia disgraziata famiglia; e questa è la sciagura ch’io forse sopporterò lungamente in espiazione degli errori della mia gioventù.
Ed anche un vostro amico pochi giorni addietro mi vide piangere mentre io gli parlava di voi, benchè io non tema e non isperi nulla da voi: ma sento la perdita della vostra amicizia, e non potrò se non sinceramente dolermene finchè avrò vita; e sento ad un tempo che il Cielo diede a me tal rigore, e a voi tale instabilità di carattere, ch’io mi meraviglio come voi vi