aggiunta nei crocchi questa di dichiararmi millantatore, pagatemi di pari delicatezza, e difendete l’onore e la verità col documento che vi mando. Mi furono bensì mandati due paragrafi in copie di vostre lettere contro di me; ma perchè io non vidi il vostro carattere, nè credo alle azioni de’ traditori, non ho credute vere le copie; nè risposi; nè troverete che dal momento de’ vostri sdegni io abbia mai scritto un’unica sillaba intorno a voi, nè il nome vostro a veruno; e nelle mie lettere a tanti, e segnatamente agli amici bresciani, che mi credevano in rissa con voi e me ne chiedevano conto, dissimulai tanto su quest’articolo, che niuno saprà se non quello che a voi piacque di scrivere. Tanto io mi fidava e mi fido della vostra lealtà, e tanto io sdegno di chiamar ajuti e mediatori nelle contese! Alcune persone che frequentano certi luoghi da voi frequentati, mi assicurano che voi mi avete tacciato di cortigiano, aggiungendo la frase ch’io portava la maschera di Catone, ed allegando per prova un mio profondo saluto alla carrozza del grangiudice al corso. Ma io ho pensato a tutti gli atti della mia vita, meritevole di molte taccie, fuorchè di questa, e poichè ho amato passionatamente le donne, e ho pazzamente perdute le notti al giuoco, non mi sono trovato mai nè Catone, nè mascherato, nè mai cortigiano. Ho dunque compianto voi e me per la qualità de’ partigiani e degli avversarj che abbiamo, e non vi ho creduto capace di accuse e di prove sì fanciullesche. Nel tempo stesso vive chi pensa d’avermi con prove più gravi e più evidenti accertato, che voi, in quelle poche ore nelle quali vi ho confidato il manoscritto sull’articolo della versione d’Omero (e ve l’ho confidato perchè vi si parlava anche di voi, e perchè trovo più obblighi da adempiere nella scissura che nella concordia delle amicizie) in quelle pochissime ore voi siete andato a leggerlo a monsieur La Folie.
Quantunque questo tratto m’avrebbe fatto abjurare qualunque amicizia, io nondimeno l’avrei perdonato a voi solo, purchè almeno non me l’aveste taciuto, dacchè voi, parlandomi ’appunto qualche ora dopo ch’io riebbi il manoscritto, mostraste desiderio ch’io mutassi una frase che vi offendeva, io l’ho infatti mutata. Inoltre vi ho udito tante volte sparlare pubblicamente di monsieur La Folie, ch’io non poteva, nè posso ancora presumervi in tanta dimestichezza; e quando pure quel signore, che non conosco e che perciò non posso nè stimare, nè disprezzare, si fosse meritata una volta la vostra stima, io viveva e vivrò sempre certo che niun vostro nemico sarà punito da voi con la violazione del secreto. Finalmente da tale ch’io conosceva appena di vista, mi fu, non sono otto giorni, esibita copia d’un poema che si dice scritto da Ceretti contro di voi. Non mi ricordo che Ceretti nè veruno altro m’abbiano parlato mai di tal satira: ne ho chiesto a un amico vostro e mio, e mi è stato detto, che pur troppo il Ceretti l’aveva scritta. Comunque sia, vi giuro per quanto v’ha di più sacro, e s’io mento invoco l’ira del cielo contro di me e contro la mia famiglia, vi giuro che non volli vedere nè sapere altro di quel poema; ch’io da quel giorno ho sfuggito ancor più di parlar di voi; che anzi ho cercato di smentire le ciarle che avevano dato incitamento all’offerta; — e a chi