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vincenzo monti | 129 |
contro i grandi, che un’introduzione di forestierume, che una santocchieria; e mentre la Polizia, accorgendosi che quelle novità portavano una franchezza d’esame che è sempre pericolosa alla tirannia, sparpagliava o imprigionava i romantici1, molti gli assalivano con satire, drammi, caricature, che facevano dimenticare la distinzione di buono e cattivo per palleggiarsi i titoli di classico e romantico.
Il Monti che, senza accorgersene, era stato antesignano del romanticismo, s’arrestò a una parte accidentale, il ripudio della mitologia, ed (errore d’alcuni malaccorti) il sostituire alle finzioni greche altre finzioni settentrionali od orientali. Dimentico che le più alte ispirazioni erano a lui venute dalla verità; che egli aveva dimesticate le Muse italiche colle ombre e coi fantasmi; che non era mai riuscito sì bene come quando ricorse alla verità sia de’ sentimenti politici e morali, sia delle finezze scientifiche, le quali, non che scemargli bellezza, v’aveano aggiunto vigoria ed evidenza, uscì, in un carme per le nozze della divina Antonietta Costa (1825), a condannare l’audace scuola boreale, che ripudia gli Dei; e ad asserire che l’arido vero è tomba de’ vati, che poesia vale finzione, e che la favola non è altro che la verità travestita2.
Cantù — Illustri italiani, vol. II | 9 |
- ↑ A tacere la Biblioteca Italiana, il Pagani Cesa definiva i Romantici, briganti politici, gente d’arme, giovinastri, non pratici che del disordine in cui sono nati; avventurieri fortunati, intesi a sovversioni e letterarie e politiche, ecc.
Trent’anni dopo, il signor Emiliani Giudici ripetea le accuse stesse in senso opposto, denunziandoli come emissarj del Governo austriaco, perchè accettavano dottrine predicate da sommi tedeschi, E queste bestemmie si rinnovarono nel 1872. E se noi mostriamo che ci siam sempre ingegnati di dire le cose più italiane nel modo più italiano, ci si rinfaccia: — Il bello stile nel romanticismo l’è uno spoglio violento, fatto al detronizzato classicismo». La Carità, febbrajo 1868, pag. 127. - ↑
Fine ai sogni e alle fole, e regni il vero.
Magnifico parlar, degno del senno
Che della Stoa dettò l’irta dottrina,
Ma non del senno che cantò d’Achille
L’ira, e fu prima fantasia del mondo,
Senza portento, senza meraviglia,
Nulla è l’arte de’ carmi, e mal s’accorda
La meraviglia ed il portento al nudo
Arido Vero che de’ vati è tomba....
Rendi dunque ad Amor l’arco e gli strali,
Rendi a Venere il cinto, ed essa il ceda
A te, divina Antonietta.