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cuculiando il padre Cesari. Trovata la lingua perfidiata dal Cesarotti, mal difesa dal Napione, infranciosata e nelle teorie e nella pratica non tanto per l’invasione forestiera, quanto per accidia innazionale, il Cesari indicò le cause e cercò i rimedj di quel guasto; innamorato de’ Trecentisti, ottima opera faceva col richiamare a quella semplicità dall’enfasi rivoluzionaria, sebbene, sprovveduto di criterio, accettasse senza discrimine ciò ch’era o fallato o invecchiato; e tolse a ristampare il Vocabolario della Crusca, infinite parole e frasi aggiungendovi desunte da’ classici; fatica agevole, come provarono i tanti che dopo la continuarono; ma dove egli e i suoi collaboratori affastellarono senza discernimento errori, 1 storpiature, rancidumi, purchè li trovassero nei classici. Ed aveano ragione se il Dizionario si consideri, come quel delle lingue morte, compilato per ispiegare i classici1.

Ora il Monti accingevasi a riveder le buccie al Vocabolario della Crusca, assumendo sulle proprie spalle un lavoro che, per incarico del ministero italiano, già avea cominciato l’Istituto Nazionale; ma talmente era egli abituato a dedur l’ispirazione dal pubblico o dal

    Cicognara. In Brescia, Arici e Morcelli. In Bologna, Costa, Tommasini, Marchetti e Venturoli. In Roma, Perticari, Biondi e Borghesi. In Firenze, Fabbroni, Niecolini e Serristori. In Torino, Balbis, Grassi, Vernazza. In Parigi, Botta e Visconti. In Napoli, Lampredi, Monticelli. E questo non è che un principio; perchè nostro divisamente è d’invitare in questa lega i migliori lutti d’Italia. E se finora non ci siamo rivolti alle due Università del regno, Padova e Pavia, egli è perchè il nostro progetto, sancito già a voti unanimi dal Consiglio Imperiale, non è per anco stato firmato da S. E. il signor Conte Governatore, la cui giustizia non può tardare a ratificarlo. Così mostreremo non pure all’Italia, ma a tutta l’Europa esser falsa la calunnia di che ci gravano gli stranieri, cioè che i letterati italiani si straziano fra di loro, come i Cadmei: e che questa accusa non cade che sopra i guastamestieri. Pregate dunque sant’Apollo e Minerva che la nostra impresa si conduca a riva felicemente, e voi pure sarete del bel numer uno, e con voi quanti costì han caro l’onore dell’italiana letteratura» (9 febbrajo 1817).

  1. Il Cesari, messo in continua baja dal Monti, venne una volta a Milano, andò a trovarlo. Il Monti l’accolse con creanza, e domandatogli al fine se potesse servirlo di nulla, «La mi faccia portare un bicchier d’acqua. Potrò vantarmi di averlo ricevuto dal maggior nostro poeta». Il Perticari, raccomandandolo al principe Odescalchi, il 14 marzo 1822 lo chiama «padre d’ogni eloquenza»,e «nulla vi dico delle sue lodi, perchè agli uomini che sono lodati da tutta la nazione non bisognano le lodi mie. Questo solo vi dico, che voi vedete quell’uomo, per cui la Lombardia ha già tolto il vanto della lingua alla disfatta Toscana!!»