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vincenzo monti 103

stoxidi traducendo le Nove Muse in linguaggio antico, al modo che avea fatto, con più maestria non con più felicità, Gian Paolo Courrier in Francia, scambiando per arcaico il dialetto jonico, men grave che il dorico, men contratto che l’attico. In quella fatica si sente ogni tratto che la parola non nacque col pensiero; mentre il Monti adoprò una dicitura facile, piana, d’eleganza invidiabile. Se non che, negli autori primitivi è troppo necessario non alterare alcuna parola, perchè essi medesimi la raccolsero da’ canti precedenti o dalla tradizione, storia parlata quando ancora non la si scriveva; facendosi testimonj anzichè autori; ed è facile sostituire colla parola una intera categoria di idee, repugnanti dalla civiltà d’allora. V’abbia pure immagini sconvenevoli, sentimenti grossolani, particolarità vulgari, mascherate dalla ingenua eleganza; il traduttore deve riprodurli, mettendo squisita esattezza nel tradurre un fondo così vero e una forma così semplice. In Omero, l’epico si cela sempre; laonde non ben l’intese chi alla prima parola verseggiò Cantami, o diva, dove l’originale mette solo Canta, o diva. Se le navi sarpano l’áncora, se le armi forbite son di canuto ferro, anzichè di rame, se uno «a spronar esorta verso le navi i corridori»; se Tetide, come gli eroi metastasiani si lagna che «iniqua stella, il dì ch’io ti produssi, i talami paterni illuminava», siam fuori del tempo: se a Bellerofonte affida Preto chiuse funeste cifre e crude note1; se i capitani greci firmano ognuno la propria tessera e la mettono nell’elmo2, ecco anticipato l’uso della scrittura, che forse ignoravasi ai tempi d’Omero, non che della guerra iliaca. Potrebbe anche notarsi che Minerva è dea etrusca, mentre i Greci adoravano Pallade; così Erme ed Era e Poseidon e Afrodite ed altri scambj, che trasportano l’erudito in tutt’altro ordine di concetti.

Che che ne sia di queste minuzie, l’Iliade, qual fu corretta dopo nuovi appunti del Lamberti e del Visconti, sebbene più di quella che Fénélon chiamava amabile semplicità del mondo nascente, vi si trovino

  1. Il testo ha πόρεν δ’ὅ γε σήματα λογρά: segnali funesti.
  2. Il testo ha γνῶ δὲ κλήρου σῆμα ἰδών: conobbe guardando il segnale. Nel famoso, e probabilmente apocrifo passo della descrizione dello scudo, ov’è esposto un giudizio, il Monti dice che «contesa era insorta fra due», e tace la circostanza che essi dichiararono le lor ragioni al popolo: δήμῳ πιφαύσκοντες, il che indica l’intervenir del popolo come vero giudice, mentre nel Monti pare semplice spettatore. A ciò ripugna il dire che «finir davanti a un arbitro la lite chiedeano».