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vincenzo monti 95

soppiantati da nuovi, altrettanto divulgati, benchè spesso opposti. L’opinione pubblica non si briga punto nè poco d’essere coerente; il vediamo tuttodì: e senza computare l’ambizione servile e la pusillanimità, quali strane illusioni coscienziose non può farsi uno spirito debole eppur ardente, non vulgare eppur comune? Gli è vero che le passioni basse esultano di trovare appunti contro chi le mortifica colla superiorità; e a tacere Talleyrand e compagni, udimmo di versalità imputare Göthe, Guvier, tant’altri; anzi Carlo X, nel 1830, diceva: — Non c’è che La Fayette e me che non abbiamo cangiato dall’89 in poi». Ma in realtà a quanto pochi basta il coraggio d’astenersi, e d’aspettar senza bestemmia come senza disperazione! quanti divennero o turbolenti sommovitori o turpi retrogradi, solo perchè non iscorgeano chiaro il fine a cui dirigersi in mezzo a tante perniciose tentazioni, fra spettacoli sì agitanti e corruttori, fra lo sregolamento del pensiero, dell’ambizione, dei fatti; vedendosi decantati per le loro aberrazioni, vilipesi per la loro perseveranza, denigrati per non aver blandito passioni, nè seguitato traviamenti! E quei che disertarono, come rendonsi intolleranti di chi non abdicò, la coscienza individuale per inchinarsi alla plateale opinione!

Beati quelli che la loro oscurità sottrasse al bisogno di manifestare questi cambiamenti, o la cui oscillanza tolse di renderli sensibili! Ma lo scrittore ha dovere di non fallire al proprio genio; ha da rendere conto di sè ai contemporanei e ai posteri. E questi hanno ragione di mostrarsi severi al Monti; così ragione, che niuno avrebbe il cinismo di scolpare col suo esempio quell’abjetta parte della folla scribacchiante, che ha acclamazioni per tutti i trionfi, sibili per tutte le cadute, facendosi complice di tutte le violenze come di tutte le bassezze.

Eppure il Monti non era un abjetto; e il suo peccato era colpa dell’educazione. In iscuola non gli avevano inculcato che l’arte deve essere sincera, ispirata dalla verità, ispiratrice di virtù; bensì a curare la forma, qualunque fosse il fondo, come la modista che prepara abiti e fronzoli per ornare sia Cornelia, sia Poppea; a guardare gli oggetti da un canto solo; prefiggersi il bello con intenzione meramente letteraria, e senza connessione dell’arte colla vita. In somma insegnavasi «Il Bello e basta»; come in altri tempi si insegnò «Audacia e basta».

Da giovane egli non ebbe quel momento critico, ove l’intelligenza