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74 | illustri italiani |
vincere perchè egli tardava le paghe, perdute o vendute ignominiosamente opportunissime flotte; tiriamo un velo sulle violenze al pudore.
I Romani mai non mostrarono nè disinteressato culto nè retto gusto per le belle arti1; però dalle grosse somme che costavano agli amatori, e dal dispiacere che le città greche palesavano al vederseli rapiti, avevano imparato ad apprezzare i capi d’arte, a crederli un glorioso trofeo nelle città, un signorile ornamento ne’ palagi.
Ricchissima ne era la Sicilia, greca ella stessa, fors’anche maestra alla Grecia, corte di re possenti e generosi, e madre di segnalati artisti. Parve dunque a Verre d’avere un bel destro onde radunarsi una galleria, che non iscapitasse dalle più vantate di Roma; e già prima di porvi piede s’era informato dove giacessero i capi più stimati; indi, o a prezzi determinati da lui medesimo, o più sovente colla frode e colla violenza, ne spogliò il paese. — Prima della costui pretura (dice Cicerone) in Sicilia non v’avea casa per poco doviziosa, dove, se anche altro argento non si trovava, mancassero questi capi, cioè un grande vassojo con figure e intagli di divinità, una pátera da servirsene le donne ne’ riti sacri, un turibolo, e tutto di lavoro antico e di squisito artifizio: onde si può argomentare che un tempo i Siciliani anche delle altre cose tenessero in proporzione: e sebbene la fortuna ne avesse rapite di molte, pur conservassero quelle che appartenevano alla religione».
A tutti Verre fe togliere le incrostature, gli emblemi, i lavori fini; poi da cesellatori e vasaj, che aveva in abbondanza, per sei mesi continui fabbricare vasi d’oro, e in essi incastrare i pezzi levati ai turiboli e alle pátere, in maniera che sembrassero fatti ap-
- ↑ Cicerone si scusa dell’attribuire importanza a pitture e sculture. «Dicet aliquis: Quid? tu ista permagno æstimas? Ego vero ad meam rationem usumque non æstimo; verumtamen a vobis id arbitror spectari oportere, quanti hæc eorum judicio, qui studiosi sunt harum rerum, æstimentur, quanti venire soleant, ecc.» In Verrem, IV. Un libro intero della sua azione contro Verre aggirasi sui lavori di belle arti da costui rapiti; ed è prezzo dell’opera il leggerlo, sì per informarsi di tanti capi insigni, sì per conoscere le maniere con cui esso li carpì: tra questi, un Apollo ed Ercole di Mirone, un Ercole dello stesso, un Cupido di Prassitele. Nelle Memorie dell’Accademia francese di belle letture, tom. IX, Frangier inserì una dissertazione, intitolata La galleria di Verre.