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68 illustri italiani

si potrebbe cogli argomenti, affettare gravità e morale nell’enunciare dogmi machiavellici, profondere la beffa sull’avversario, solleticare la vanità, la paura, l’interesse, l’invidia. Tali arti possono vedersi analizzate con compiacenza da Marco Tullio: il quale pure scrisse una Topica, indicando i luoghi comuni da cui desumere le ragioni; perocchè il trovare argomenti doveva essere speciale magistero là dove l’eloquenza mirava meno a chiarire la verità, che a far prevalere una parte, una causa, un uomo.

Sì gran maestro di tutti i segreti della parola, era argutissimo nel notare i meriti e i difetti de’ predecessori suoi, che tutti superò, e degli emuli contemporanei, Giulio Cesare, Giunio Bruto, Messala Corvino, Quinto Ortensio. Quest’ultimo a diciannove anni si mostrò al pubblico con un’arringa in favore degli Africani, e fu somigliata a un lavoro di Fidia, che rapisce i suffragi degli spettatori al sol vederlo1. Memoria sfasciata, bel porgere, somma facilità il rendevano arbitro della tribuna, e facevano accorrere i famosi attori ad ascoltarlo, mentre la fluidità asiatica, l’ornamento, l’erudita accuratezza ne rendevano piacevole la lettura. Egli introdusse di dividere la materia in punti, e di riepilogare al fine; ottimo spediente a far bene abbracciare la causa e dar nerbo alle prove condensandole. Nulla di lui ci rimane, ma sappiamo che nessuno de’ coetanei potè reggergli a paro, fin quando non rallentossi, e sviò dal fôro per viver lieto e placidamente in compagnia di letterati, fra le magnificenze. Perocchè aveva quattro ville, insigni di capi d’arte, con boschi popolati di selvaggine, piante rare, fra cui platani che inaffìava col vino, vivaj di pesci squisiti, al cui alimento dava maggior cura che non agli schiavi, e spendea tesori per mantenervi fresca l’acqua in estate; aveva inventato di metter arrosto i pavoni: ed era detto re delle cause e delle mense, e morendo lasciò 1200 anfore di vino prelibato2. Sagrificò anche al suo secolo collo scrivere versi licenziosi; parteggiò con Silla, e si oppose a coloro che, abrogandone le leggi, spianavansi la via alla potenza; contraddisse a Pompeo quando rintregò la potestà tribunizia e quando chiedeva missioni straordinarie; fece condannare Opimio già tribuno; e torna a suo onore l’essersi conservato amico di Cicerone, benchè

  1. Cicerone, Brutus, 64.
  2. Varrone, De re rustica, I, 2, 17; III, 6. Macrobio, Saturnaliorum, II, 9.