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Cicerone | 67 |
III.
I segreti dell’arte sua espose in dettati di purissimo sapore, rilevati da sali e grazie carissime. Chè la critica acquista dignità e grandezza in mano d’uomini, i quali fanno scomparire la differenza che corre fra l’arte del giudicare e il talento del comporre, portano una specie di creazione nell’esame del bello, per genio istintivo pare, inventino allorchè non fanno che osservare, e possono dire, — Son pittore anch’io». La pretensione di dar precetti sul modo d’adoprare ciò che più è personale all’uomo, la sua lingua, l’espressione degl’intimi sentimenti, sa di stolta o ridicola: eppure in Cicerone si leggono volentieri quelle regole, di necessità incomplete, ma dedotte da lunga e splendida esperienza, e dall’abito di tener conto di tutte le ragioni del favellare, dalle più astruse fino alle minuzie materiali della dizione figurata e del ritmo oratorio. A questi attribuendo le vittorie sue e degli altri, volle analizzarli con una sottigliezza eccessiva, discutendo sul tono di voce conveniente al principio e al séguito dell’orazione, sul battersi o no la fronte, sullo scompor le chiome nel tergere il sudore, ed altre inezie che non tardarono a divenire principali. Quei precetti intorno al simulare ciò che farebbe naturalmente chi esternasse i proprj sentimenti, a noi, cambiata lingua e modi, riescono inutili; talvolta neppure intelligibili i suoi suggerimenti sulla disposizione della parole, la consonanza dei membri, la distribuzione de’ periodi, l’alternare delle sillabe lunghe e brevi, e finir col giambo piuttosto che collo spondeo; nè partecipiamo alla sua ammirazione pel dicorèo comprobavit; ma queste che a noi somigliano frivolezze, aveano somma importanza fra un popolo dove Gracco, parlando alla tribuna, faceasi dar l’intonazione da un flautista, e dove una frase ben compassata di Marc’Antonio fu accolto da applausi fragorosi. Pure Cicerone fu appuntato di troppa arte nel contornare il periodo; e a noi stessi non isfugge quanto egli prediliga certe chiuse sonanti, e il frequente ritorno della cadenza esse videatur.
Nè l’arte dell’avvocato limitavasi, come dovrebbe, a scoprire la ragione e dimostrarla; bensì a far parere tale ciò che non è, sparger veleno e sarcasmo sopra atti incolpevoli, ad un racconto ingenuo tramezzar bugie e calunnie, sapere colla ironia sostenersi ove non