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56 illustri italiani

nera delle passioni; Dante le robuste, «gittando a tergo eleganza e dignità», come il Tasso gli appone; e rime aspre e chioccie trovò opportune a servir di velame alla dottrina che ascondeva sotto versi strani: se anche tratta d’amore, sì il fa per imparadisare la donna sua. Petrarca verseggia lindo e forbito come parlava e con gioconda abbondanza, sicchè la forma poetica v’è tanto superiore al pensiero; a differenza dell’Alighieri, che ruvido e sprezzante, non lasciasi inceppar dalla rima; per comodo di questa e del ritmo mutando senso alle parole e traendole d’altra favella e dai dialetti.

Quello sfoga talvolta il sentimento sotto un lusso d’ornati e di circostanze minute: questo unifica gli elementi che l’altro decompone, coglie le bellezze segregate, traendole meno dai sensi che dal sentimento, nè mai indugiandosi intorno a particolarità1. La costui lingua tiene della rozza e libera risolutezza repubblicana: quella del Petrarca riflette l’affabilità lusinghiera e l’ingegnosa urbanità delle Corti. Nel primo prevale la dottrina, nell’altro la leggiadria;

    in che io spesi appena il primo fiore degli anni; io che m’ebbi per trastullo e riposo dell’animo e dirozzamento dell’ingegno quello che a lui fa arte, se non la sola, certamente la prima». E nella XI delle Famigliari poco modestamente: «Di chi avrà invidia chi non l’ha di Virgilio?» Altrove dice essersi guardato sempre dal leggere i versi di Dante, e al Boccaccio scrive: — Ho udito cantare e sconciare quei versi su per le piazze.... Gl’invidierò forse gli applausi de’ lanajuoli, tavernieri, macellaj e cotal gentame?» Eppure Jacopo Mazzoni (Difesa di Dante, VI, 29) asserisce che il Petrarca «adornò il suo canzoniere di tanti fiori della Divina Commedia, che può dirsi piuttosto che egli ve li rovesciasse dai canestri che dalle mani». È un’arte dei detrattori senza coraggio il deprimere un sommo col metterlo a pareggio dei minori. Ora il Petrarca due volte menziona Dante come poeta d’amore, ponendolo, in riga con frà Guittone e Cino da Pistoia: Sonetto 257:

                        Ma ben ti prego che in la terza spera
                        Guitton saluti e messer Gino e Dante.
         Trionfo d’amore, IV:
                        Ecco Dante e Beatrice, ecco Selvaggia,
                        Ecco Cin da Pistoia, Guitton d’Arezzo.

  1. Si confronti la descrizione della sera. Dante, Purg. VIII: «Era l’ora che volge il desio, e intenerisce il cuore dei naviganti il dì che dissero addio ai cari amici; e che punge d’amore il nuovo pellegrino se ode squilla da lontano che sembri piangere il giorno che si muore». Petrarca: «Poichè il sole si nasconde, i naviganti gettan le membra in qualche chiusa valle sul duro legno o sotto l’aspre gomone. Ma perchè il sole s’attuffi in mezzo l’onde, e lasci Spagna e Granata e Marocco dietro le spalle, e gli uomini e le donne e ’l mondo e gli animali acquetino i loro mali, pure io non pongo fine al mio ostinato affanno».