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52 illustri italiani

in me sommamente cresciuta, che sono con esso vulgare tutto mio tempo usato»1.

Nella scarsa metafìsica d’allora, egli confondeva la lingua collo stile, giacchè è affatto vero che, adottando quella dei Fiorentini, bisognavano poi l’ingegno e l’arte affinchè divenisse colta; e poichè a ciò serve non poco l’usare con chi ben parla e ben pensa, Bologna per la sua Università offriva campo a migliorar lo stile, più che non la mercantesca Firenze. L’appunteremo noi se non seppe far una distinzione, la cui mancanza offusca anche oggi i tanti ragionacchianti in siffatta quistione? Al postutto egli non argomenta della lingua in generale, ma di quella che s’addice alle canzoni: lo che dovrebbero non dimenticare mai coloro che vogliono di Dante fiorentino far un campione contro quel fiorentino parlare, ch’egli pose in trono inconcusso.

Altri versi dettò, e massime canzoni amorose, delle quali poi fece un commento nel Convivio; fatica mediocre, dove maturo tolse a indagar ragioni filosofiche a sentimenti venutigli direttamente da vaghezze giovanili, e vorrebbe che per amore s’intendesse lo studio, per donna la filosofia, per terzo cielo di venere la retorica, terza scienza del trivio; per gli angeli motori di questa sfera, Tullio e Boezio unici suoi consolatori. Ivi professa di valersi dell’italiano «per confondere li suoi accusatori, li quali dispregiano esso, e commendano gli altri, massimamente quello di lingua d’oc, dicendo ch’è più bello e migliore di questo»; eppure altrove soggiunse «molte regioni e città essere più nobili e deliziose che Toscana e Firenze, e molte nazioni e molte genti usare più dilettevole e più utile sermone che gli Italiani». Locchè vedasi se a que’ tempi si potea dire con giustizia.

Quella che l’Alighieri creò veramente, è la lingua poetica, che fin ad oggi s’adopera con più o meno d’arte, ma sempre a stessa, e per la quale sin d’allora egli era cantato fin nelle strade2. La

  1. Convivio I, c. 13.
  2. Non credo cantassero il poema, bensì le poesie amorose, alcune delle quali supremamente soavi, come questa:

                   Quantunque volte, lasso, mi rimembra
                        Ch’io non debbo giammai
                        Veder la donna ond’io vo sì dolente,
                        Tanto dolore intorno al cor mi assembra
                        La dolorosa mente,
                        Ch’io dico, Anima mia, che non ten vai?