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che non si parla in nessun luogo. Chi s’adagerebbe a tale sentenza? Rimproverando i Fiorentini perchè «arrogantemente si attribuiscono il titolo del vulgare illustre», rinfaccia loro due vocaboli, introcque e manicare. Or bene, questi due vocaboli egli stesso adopera nella Divina Commedia1.
Chi volesse vedervi qualcosa più che un dispetto di fuoruscito, potrebbe supporre che i dotti avessero mostrato far poco conto della sua Commedia, perchè scritta nella lingua che egli avea dalla balia, senza i pazienti studj che richiedeva il latino; lo perchè egli togliesse a mostrare che nessun dialetto è buono a scrivere, ma da tutti vuolsi scernere il meglio. E qui v’è parte di verità: chè chi voglia formare un mazzo, non coglie tutti i fiori d’un giardino, ma i più belli; e quest’arte del crivellare e dello scriver bene non può impararsi se non da chi bene scrive, nè a questi è prefìsso verun paese. Ma il giardino dove trovar i fiori più abbondevoli e genuini, qual sarà se non la Toscana? E di fatto egli confessa che fin d’allora non solo l’opinione de’ plebei, ma molti uomini famosi attribuivano il titolo di vulgare illustre al fiorentino; nel che dice impazzivano; egli che pur credea necessario dare per fondamento alla lingua scritta un dialetto, benchè lo sdegno gli facesse ai Fiorentini, obtusi in suo turpiloquio, preferire sino il disavvenente bolognese; egli che asseriva il latino scrivesi per grammatica, ma il bello vulgare seguita l’uso.
E di fatto il suo scrivere, quanto alle parole, è identico con quel de’ Toscani suoi contemporanei, sicchè s’egli dice d’aver usato lingua diversa, ciò tanto gli si dovrebbe credere (riflette il Machiavello) quanto ch’ei trovasse Bruto in bocca di Lucifero. Del toscano fa altre volte grandi elogi, e dice essersi valso del vulgare fiorentino, proprio quello che parlavano suo padre e sua madre: «questo vulgare fu congiungitore delli miei parenti che con esso parlavano.... perchè manifesto è lui esser concorso alla mia generazione, e così essere alcuna cagione del mio essere.... e così è palese e per me conosciuto esso essere stato a me grandissimo benefattore.... se l’amistà s’accresce per la consuetudine, manifesto e
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Sì mi parlava, ed andavamo introcque.
Inf. XX.
E quei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
Di manicar. Inf. XXIII.