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mani, popolo che quanto amasse gli altri mostrò col conquistarli, posponendo le comodità proprie alla salute dell’uman genere.

Eccovi prevenuta di secoli la teorica moderna, che asserisce sempre vincente la parte migliore; ecco dichiarata ottima salvaguardia della pubblica felicità la massima potenza d’una monarchia, universale e dipendente da Dio solo, non da alcun suo vicario; ecco in conseguenza tolto l’unico schermo che allora contro l’imperatore avessero i popoli, ed usurpata a questi la indipendenza nazionale, che è vanto e desiderio loro.

Conseguente a questa teorica, egli aveva imprecato giusto giudizio dalle stelle sopra il sangue di Rodolfo tedesco e d’Alberto suo figlio, che per cupidigia lasciavano disertare il giardin dell’Impero; e bestemmiò Venceslao pasciuto d’ozio e di lascivia: mentre al divino e felicissimo Enrico VII di Lussemburgo preparò un seggio in paradiso, e lo inizzava contro quella città, che allora e poi fu rôcca della libertà italiana. A questa bassezza non scendeva Dante per viltà, sì per dispetto; e dalle servili conseguenze arretrava; e gli avveniva, come troppo spesso agl’Italiani, di desiderare quel che non hanno, per tardi pentire quando n’abbiano fatto esperimento. I voti del poeta furono esauditi; furono inforcati gli arcioni di questa Italia, fiera fella e selvaggia; e gli abbracci degli imperatori, quand’ebbero i papi non più oppositori ma conniventi ed alleati, prepararono un’età di obbrobrioso servaggio, e la malaugurata necessità di violenti tentativi per riscattarsene.

Nel III della Monarchia professa che «incomincerà la battaglia per la salute della verità, usando quella riverenza la quale è tenuto usare il figliuolo pio inverso il padre, pio inverso la madre, pio inverso Cristo e la Chiesa e il pastore, e inverso tutti quelli che confessano la cristiana religione». In effetto egli muove guerra non alla sede romana, ma ai decretalisti: al dominio temporale non tocca mai, ma solo alla presunzione che ostentavasi di soprastare temporalmente all’Impero: gli imperatori loda tutti: i papi non critica in generale, ma alcuni di essi.

Vuol poi la monarchia non sia tale che «i minimi affari della città siano sottoposti all’imperatore»: ma «le nazioni e i regni obbediscano a leggi diverse, ed altrimenti si regolino gli Sciti sotto il polo, altrimenti i Garamanti sotto l’equatore»1. Poi cotesto

  1. Fa espressa riserva degli statuti particolari: «Advertendum sane quod, cum