Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
vittoria colonna | 599 |
lonna alla battaglia di Ravenna dell’11 aprile 1512, e Vittoria ne consolò con lettere e con carmi la prigionia, finchè potè abbracciarlo liberato. Ebbe novamente a palpitare quando nuova guerra scoppiò, e quando seppe che il marito trescava in una congiura per liberar l’Italia dagli stranieri. Trescava da vile, giacchè, avutone informazioni piene dal grancancelliere Girolamo Morone, esso rivelò ogni cosa all’imperator di Germania, onde il milanese Ripamonti scrive non essere stato di quei tempi alcuno nè più infame in perfidia, nè più illustre nell’armi.
Dei comporti di esso non era ignara la Vittoria, e abbiamo una sua lettera ove lo ammoniva a non lasciarsi guadagnare dal baglior d’una corona: spagnuolo qual era, stesse fermo alla fede del suo re, nè l’onor suo contaminasse. Ma di soli 33 anni egli a Milano morì il 25 novembre 1525. Vittoria immortalò con poetici compianti le imprese di lui e il proprio affetto, chiamandolo il suo bel sole; e ancor fiorente di giovinezza e di beltà, ella ricusò altre nozze, e ritiratasi a Roma fra le monache di San Silvestro in capite, soffrì delle sventure pubbliche.
Non è da questo luogo il narrare quante allora spargessero rovine e stragi le nimicizie fra Carlo V e Francesco I; dove andarono a miserabile strazio la Lombardia e il regno di Napoli. Il papa, impaurito dall’ingrandire degli Imperiali e scontento di Carlo V, s’unì in una lega, per lui detta santa, coi Francesi e cogli altri, che pretessevano la solita maschera della indipendenza italiana. Lega a lui funestissima: perocchè subito i vassalli più potenti, e massime i Colonna, si gittarono contro Roma (1526), sopra la quale ben presto si difilò l’esercito imperiale, guidato dal conestabile di Borbone, francese traditore, messosi al servizio dell’impero.
Non era un esercito regolare, bensì un ammasso di quarantamila venturieri, quali ai dì nostri ne abbiamo veduti, che obbedivano personalmente a un capo, purchè egli obbedisse a quanto essi desideravano. E il desiderio loro era saccheggiare Roma, tutti anelando all’oro di essa, molti a distruggerne il primato religioso, essendo Luterani e Tedeschi, avvezzi a considerare i papi e gli Italiani come sanguisughe della loro nazione, e avendo per unico grido Nicht Papa. Un d’essi, chiamato Verdesilva, diceva: — Colla pelle di papa Clemente voglio fare uno staffile, e lo porterò a Lutero perchè veda com’è punito chi resiste alla parola di Dio». Il Freundsberg, loro