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della predicazione luterana non vedeano che il lato morale, una pietà forse inconsiderata, ma che vagheggiava la purezza perduta nella Chiesa; un desiderio di diminuire importanza alle cerimonie esteriori e alle opere soprarogatorie, d’altrettanto rialzando la pietà interiore; un deplorare che si perseguitassero l’Ochino o Pietro Martire Vermiglio, mentre si tolleravano l’Aretino e il Franco; una profonda fiducia nei meriti di Gesù Cristo, senza avvedersi che essa perdea lode col repudiare l’autorità e i sacramenti da Lui istituiti; un gridare all’emendazione del clero, al depuramento del culto, pur senza voler menomamente distruggere i papi e i riti. Oltrechè ciò nulla ha a fare colla quistione dogmatica dell’unità, quanti non sono in ogni età coloro che adottano un principio, e non ne tirano tutte le conseguenze?

Alcuni pietosi, alla rinascenza quale s’ebbe in Italia, fondata solo sull’arte e sul sentimento del bello, voleano surrogare quella fondata sulla morale seria e sull’applicazione positiva; al genio gentilesco rivalso surrogare il cristiano che ringiovanisse il mondo: ricorreano alle fonti della tradizione, e taluni, più infervorati del senso morale, arrivavano a supporre che la parola interiore, vale a dire la coscienza e la ragione, sieno superiori alla lettera biblica, e contentavansi di sviluppare il sentimento religioso, non curandosi delle credenze positive. A questo misticismo sono sempre più proclivi le donne, essendo esso il grado più elevato dell’affetto, l’eccesso dell’abnegazione, l’amor divino spinto talora fino alla passione, quale si vide nel XIV secolo in santa Caterina, nel XVI in santa Teresa, poi nella beata di Chantal, nella Guyon, nella Bourguignon, e fino ai dì nostri nella Krudner e nelle scolare del Saint-Martin, le marchese di Lusignan, di Coislin, di Chabannais, di Clermont-Tonnerre, la marescialla di Noailles, la duchessa di Bourbon.

Le arieggiava Vittoria, nata il 1490 in Marino, feudo di suo padre Fabrizio Colonna, famoso capitano romano, gran conestabile del regno di Napoli. Di cinque anni fu promessa sposa al marchese Francesco Ferrante d’Avalos marchese di Pescara, campione della Spagna in Italia: di diciannove, già chiara per ingegno, lo sposò, e vivea spesso in Pietralba alle falde del monte Ermo, più spesso in Ischia, tra i principi e i gentiluomini e i letterati che segnalarono l’ultima splendida età dell’Italia. Molto amò, ma poco si potè compiacere di quel suo marito. Fior de’ prodi, egli restò ferito e prigione con Fabrizio Co-