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Di mezzo alle gravi sventure politiche del secolo XVI, nelle quali perdeva l’indipendenza, l’Italia si sentì minacciata d’una ancor più grave, qual era di andar divisa nella fede e nel culto. Qui, prima che altrove, si svolse il seme della protesta religiosa, tra per meditazione di pensanti, tra per arguzia di letterati, tra per esagerazione di pietà. Alcuni, vedendo la depravazione insinuatasi nella Chiesa e gli ecclesiastici tuffarsi in cure secolaresche, dal riprovare l’abuso passavano a censurare la Chiesa, fino a reluttare all’autorità di questa, che unica ha il diritto di riformar sè stessa.
Altri, ritirandosi dal mondo contaminato, si esaltavano nella penitenza, e pregavano che Dio la infliggesse alla Chiesa tutta per emendarla. Di questi furono tipo i discepoli del Savonarola, che, pur disapprovando molto ne’ membri e nei capi della Chiesa, arrestavansi davanti alle decisioni e all’organica venerazione di essa.
Gli eccessi della pietà, la passionata credenza alla giustizia di Dio, gli ardimenti del pensiero, che interpreta sì, ma accetta il dogma esposto dalla Chiesa, son troppo distanti dalla rivolta della ragione individuale e mutevole contro la credenza universale e inalterabile. Nè i nostri spingeano il desiderio di riformare sino al proposito di distruggere; nella libertà con cui si rimproverava la romana curia, svampavano quelle stizze, che represse ingagliardiscono; e la vicinanza faceva che coi traviamenti delle persone non si confondesse la santità delle istituzioni.
Il culto delle memorie non si rinnega dalle nazioni se non quando siano rese idiote dall’intrigo e dalla rivoluzione. E poichè la grandezza maggiore, la potenza, la ricchezza all’Italia è sempre venuta dall’esser sede di que’ pontefici, ai quali appunto si indiceva guerra,