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giandomenico romagnosi | 593 |
di vero, la notte verso l’8 giugno 1835 si ricongiungeva alla Prima Cagione. Noi lo circondavamo, addolorati come alla morte d’un padre, e mestamente riflettendo come, di tanti lumi nella mente, di tanta bontà nel cuore, di tanta potenza negli atti, non gli restava più che un Crocifisso. Da quello avrà nella vita dovuto più volte ritrarre coraggio per sopportare l’iniquità e la noncuranza degli uomini; da quello attinse forza di morire perdonando, e fiducia di morire perdonato, presentandosi con quel benedetto segno sulla fronte al giudizio di giustizia e di misericordia.
Volle esser sepolto nel cimitero di Carate, dove più volte avea ristorato la salute coll’aria balsamica della Brianza, colla schietta amicizia dell’Azimonti, colla calma così cara all’uomo che declina.
I discepoli gli eressero nella Biblioteca Ambrosiana una statua, quando tale onore non era per anco sparnazzato a una plebe di celebrità. Queste si dimenticheranno; il Romagnosi resterà finchè gli eredi conservino gratitudine ai predecessori; sarà studiato da chi ami invigorire l’intelletto contro la dominante cascaggine, e sarà più capito e meglio valutato quando cessi l’odierno ecclissi del senso morale.
Cantù — Illustri italiani, vol. I. | 38 |