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588 | illustri italiani |
proposito; mal appropriava le formole algebriche alla morale1: deferiva soverchiamente al Bentham e agli utilitarj: era insomma acuto nei frammenti, ma negletto nel tutt’insieme: intento più ad istruire immediatamente che a meditare posato.
All’osceno spettacolo delle prepotenze de’ fiacchi, le anime serie cadono in una stanchezza melanconica, che degenera in amara e incancellabile tristezza: ma tutto ciò è ben altro dal codardo suppor male dove può spiegarsi bene, dallo sparlare di tutto e d’ognuno; turpe retaggio degli animi corrotti e de’ caratteri infiacchiti. Il Romagnesi da giovane scriveva al Bramieri: — È una delle mie massime che, quando si presenta qual cosa che possa spiacere, si deva chiarirsene tosto, o per ottenere una giustificazione, o per accertarsi dell’animo di chi ha a fare con noi. Io lascio alle anime deboli il cedere alle prime impressioni, e nutrire nell’oscurità e nel silenzio il risentimento, senz’avere mai il coraggio o di chiarirsi o di prendere apertamente il loro partito».
Lontano da quella che in alcun luogo chiamò virtuosa bile dell’adulta austerità, da quella diffidenza, da quel mistero di cui amano circondarsi certe fame incontrastate, generalmente giudicava benigno, mostravasi paziente, benevolo: offendeasi di chi pretendesse trovare ne’ suoi scritti allusioni in giuriose, ripetendo che si dee predicar il Vangelo e risparmiare i peccatori: chi gli toccasse della sua prigionia, rispondeva, sapere che la giustizia umana non può essere infallibile, e che troppo spesso, come dice Tacito, è gran pericolo una gran virtù.
Quanti io ho inteso piagnucolare della censura d’allora, come avesse soffogato il lor genio, impedito i loro parti! Egli sorridendo acconciavasi a certe precauzioni di mera forma, a cambiare un aggettivo, a usare una circonlocuzione, e fin in un giornale stipendiato dal Governo, la Biblioteca Italiana, sapeva conservare la dignità come può sempre un cittadino, che non asconde nè il proprio nome, nè il proprio pensiero.
- ↑ Un solo esempio ne tolgo dalla prefazione alla Teoria del Divorzio, pag. V, VI. «Leggi, diritti, doveri, contratti, delitti, virtù non sono che addizioni, sottrazioni, moltipliche, divisioni di dispiaceri e dolori, e la legislazione civile e penale non è che la aritmetica della sensibilità».
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