Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/611


giandomenico romagnosi 587

natale, e a Carlo Botta non sapea perdonare d’aver qualificato i Piacentini superbi ed arroganti1; e se gli accidenti non gli consentirono le dolcezze domestiche, dalla sua famiglia restò separato di corpo, non d’affetto, la soccorse finchè n’ebbe agio; anche ridotto alla pensione di mille ducencinquantacinque lire, parte ne erogava a sostentamento d’una sua sorella, alla quale volle si continuasse tale sussidio anche quando carcerato. Il resto, cogli scarsi ritratti delle consulte e dei lavori letterari, gli bastava al vivere misurato. Negligeva la domestica economia; e senza punto alterarsi, se il servo una mattina gli avesse detto, — Oggi non v’è da comprare il pranzo», gli avrebbe tranquillamente dato l’oriuolo da metter in pegno, e sarebbe continuato a studiare.

Con qual bontà accoglieva chiunque! e l’abbiamo veduto credersi obbligato a rispondere a lettere e interpellazioni direttegli da persone affatto sconosciute, da giovani appena usciti dalle scuole. In disadorne camere a un terzo piano, davanti a un lento fuoco o ad un tavolino con due candele di sego, il venerando vecchio noi giovani accoglieva colla famigliarità d’un padre, sebbene coll’autorità d’un maestro: e col senno di chi molto ha vissuto temperava la baldanza di chi tutto spera.

Conservò benevolenza di condiscepolo per Melchior Gioja, e negli ultimi loro anni li vedevamo trattarsi con ischietta cordialità e con quella vivace benevolenza, che sembra privilegio della giovinezza. II Gioja venerava nell’amico il profondo pensatore, del quale era capace d’apprezzare e le innovazioni portate negli studj comuni e una precisione di metodo, ben più concludente del suo. Il Romagnosi desiderava nel Gioja un fondamento positivo alle asserzioni, esattezza logica, retta deduzione, costante riverenza per le civili libertà: e quando mancò ai vivi, ne stese la biografia con benevolenza pur non dissimulando come, sagace nell’osservare e nel cogliere concetti singolari da singolari fatti, non seguitava un’esatta deduzione dagli effetti alle cause, e nel coordinamento dei mezzi al fine; esaminava con discernimento più che non assumesse con totalità e raccogliesse con

  1. Bolla chiama il cardinal Alberoni «superbo ed arrogante, insomma tale nella disgrazia quale nella prosperità, indomabile piacentino». Del resto al Romagnosi non poteva geniare lo storico, che scevera così totalmente i casi politici della vita morale ed economica degli Stati.