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giandomenico romagnosi | 583 |
legali e retribuirle; si potea raccomandargli giovani ricchi, che andassero attingere benevolenza e generosità dal colloquio d’un vecchio venerabile per età, per carattere, per sapienza; potea darglisi la lusinga più dolce a un autore, ristampandone le opere, e comprandone tante copie quante si farebbe d’un romanzo francese. Un amico, un buon negoziante che non la sottigliava colle raffinatezze della buona società, Luigi Azimonti, sapeva e trarselo in campagna, e fargli trovare la biancheria occorrente, metterlo a parte del vino comprato, della ciocciolata allestita, e fargli accettar denaro come supposto compenso di lavori letterarj o legali. Oh sì: le anime alte sono disdegnose, ma il bel mondo gode deprimerle, e arrogarsi, se non altro, la superiorità del poterle compassionare1.
Nè il Romagnosi si lamentava. Coll’indipendenza d’uno spirito che non cerca se non il vero e il buono, e non interroga le dicerie, ma la coscienza propria e la comune, sapeva e diceva che gli applausi popolari non toccano al genio, condannato alla logica severità; pure «l’importanza de’ suoi studj credeva tale, che sarebbe riconosciuta
- ↑ Ecco documenti dolorosi. Nell’agosto 1806 scriveva al dottor Serventi banchiere a Parma: — Dalla qui unita lettera del Ministro di Giustizia del Regno d’Italia V. S. Ill.ma comprenderà che io sono chiamato colà per essere consultato e che ciò deve cadere fra pochi giorni. La maniera colla quale l’amministrazione ha scemato l’onorario stabilito ai professori non mi ha lasciato a disposizione nemmeno un soldo onde fare il viaggio. Io abbisogno di 400 lire (franchi 100) che certamente potrò restituire entro sei mesi col conveniente frutto. V. S. Ill. ma può prender tutte le più accurate informazioni per sapere se io sia uomo da mancare alla mia parola.
«Senza mediatori, e colla più aperta fiducia ricorro a Lei, conoscendo la sua maniera di pensare. Uso di una lettera perchè non avrei coraggio a farlo in persona. Ad un favore di un prestito ordinario Ella unirà un tratto di beneficenza abilitandomi ad un fatto a cui sta annessa la mia riputazione e la mia fortuna. Ho l’onore di dichiararmi Div.mo ed obb.mo servitore G. D. Romagnosi».
Poi segue l’obbligazione; ma essa rimase nelle carte del banchiere fino al 1822, quando gli eredi ne domandarono l’estinzione. E il Romagnosi mandava i 100 franchi il 29 gennajo 1823, scusandosi se «assorbito allora in lavori legislativi, la mia memoria non si accordò cogli impulsi del mio cuore».
Si hanno, fra altre, due lettere che Luigi Azimonti scriveva all’Angiolino Castelli l’agosto 1834, dicendo sapere che il Romagnosi, allora nella villa d’esso Azimonti a Carate, non era tenuto abbastanza pulito d’abiti e biancheria, perchè non ne aveva a sufficienza. Gli facesse dunque fare quattro paja mutande e due paja calzoni per cambiarlo ogni giorno, senza ch’egli lo sapesse, e così curare «la proprietà de nostro patriarca».