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giandomenico romagnosi 563

ranno dell’uso che fa della mitologia, delle induzioni filologiche, dell’avere scambiato per carattere di stirpe quel ch’era rozzezza di artisti; e del supporre che popoli da prima pastori, poi Itali agricoli, quindi Fenici e Atriaci industriosi qui trapiantassero diversi stadj di civiltà, anzichè far l’uno dall’altro occasionare.

Al medesimo scopo furono dirette le Ricerche sull’India, soggiunte all’opera di Robertson, e lo studio onde teneva dietro alle scoperte de’ viaggiatori, per poter dedurre che la terra primitiva dell’incivilimento non esista più, come più non si conosce l’originaria del frumento; ma fosse forse l’Atlantide, forse un continente, di cui oggi non sono più che un avanzo le isole disseminate nell’Oceano Pacifico.


XIII.


Discorrendo di queste derivazioni, con rapidità e franchezza cercava somiglianze fra le genti più divise, raffrontando i vetustissimi monumenti italici, i vasi etruschi e atriaci, le scavazioni sepolcrali, gli edifizj ciclopici, scorrendo da Gozo alla Sicilia, alla Libia, all’India, all’ultima Islanda, ravvicinando i coralli sporgenti sui lidi del Mediterraneo con quelli delle isole Sandwic, traendo argomento dalla conformazione delle montagne, e dai fossili che elegantemente egli denominava medaglie della natura, dagli istromenti del culto, dagli altari giganteschi, simboli primitivi dell’associazione di preghiera e di sacrifizj. Giovato da una memoria tenace se altra mai, con sicurezza ripeteva nomi, citava testi, ricordava passi; e a me più volte asserì, che delle cose imparate poteva avere dimenticate alcune, ma in quelle che si ricordava, era certo della fedele riproduzione.

Di qui la varietà di sue cognizioni. A tacere gli studj civili e la legislazione pratica, che erano il suo campo, avea sulle dita la Bibbia e i santi Padri e il diritto canonico; toccavi di cose fisiche? sentiva rinascere l’amore che giovinetto portò a quelle scienze: sovente citava classici latini e italiani; tenevasi pure in corrente delle novità letterarie, lontano dal mostrarne quel superbo dispregio, che gli scienziati sogliono affettare per tutto ciò che non è positivo. Il gusto (pensava egli) entra nell’economia dell’ordine naturale e necessario, relativo ai progressi morali, e le rivoluzioni di quello si spiegano colla naturale costituzione dell’uomo. Ajuta poi efficacemente