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giandomenico romagnosi | 561 |
ogni dì più sfrenate le imposizioni; pazzamente angustiati il commercio e l’industria, talchè la caduta di quell’impero, più che opera de’ Barbari, dev’esser riguardata come un enorme politico suicidio.
Di due istituzioni principali di quel tempo vuolsi tener conto, il diritto civile e l’amministrazione municipale. Il primo si sviluppò meglio che non avesse potuto sotto la policrazia o l’autocrazia precedenti; e tutela com’esso è della proprietà personale, reale, morale, domestica e sociale, mantenendosi fra la barbarie successa, diede impulso alla rigenerazione, assecondato in ciò potentemente dall’amministrazione municipale, lasciata illesa dalla oppressiva ma non gelosa dominazione dei settentrionali invasori. Anche il cristianesimo, disgiungendo il sacerdozio dall’impero, propagando sentimenti di carità e di giustizia, e rinvigorendo la gerarchia sacerdotale, moralmente dissoggetta dalle vicissitudini politiche, rimase vero palladio della civiltà.
Il Romagnosi sa vedere come, già prima dell’irruzione de’ settentrionali, fosse sprecato il tesoro della sapienza antica, come quelli campassero la civiltà dallo sterminio d’una sbrigliata autocrazia, inducessero miglioramenti nell’economia e nella politica, ed avviassero al risorgimento. I nostri svestirono la fiacchezza e la servilità, ingenerate dalla tirannide: dopo Carlomagno ebbero re proprio e leggi ed assemblee: il clero costituì un poter nuovo, fondato sui meriti personali e più colto che ne’ guerrieri dominatori, il quale esercitava la giustizia con solennità e la sanciva con premj invisibili. Così l’amministrazione economica serbata ai Comuni, la libertà religiosa risolta in unica credenza, la conservazione del diritto romano, la pubblicità dei giudizj, l’intervenzione del clero a moderare i potenti ed educare la plebe, l’arti ed i mestieri esercitati, le armi ripigliate per difesa contro Ungari e Saraceni, resuscitarono l’italico genio, mentre il declinare del dominio greco, longobardo e franco dava opportunità ai municipj di innestare sulle istituzioni e sulle abitudini sopravvissute il nuovo incivilimento italiano, che fu germe dell’europeo.
Qui ricorre il successivo dominio dei sensi, della fantasia, della ragione, prima nella forza brutale dei dominatori, poi nelle imprese cavalleresche, infine nello studio del diritto e nelle controversie fra la Chiesa e l’Impero. Vi vedete ancora il discernere, il comprendere e il contemperare, nel contrasto fra i vinti e i dominatori; questi
Cantù —Illustri italiani, vol. I. | 36 |