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giandomenico romagnosi 531



IV.


L’integrità conosciuta da’ suoi vicini, e l’ingegno con quest’opera dimostrato anche ai lontani, diffusero il nome del giovane Romagnosi. Il Trentino reggeasi allora colle antiche libertà germaniche sotto un principe vescovo, e per rendervi la giustizia, al modo dei Comuni italiani, chiamava un podestà annuale forestiero. Il Comune propose, e il principe vescovo Pietro Vigilio dei conti Thun scelse a tale uffizio il Romagnosi, che per tre anni vi fu confermato, e anche dappoi vi dimorò trattando cause civili, e imparando a stimare quel popolo montano, e «quel sistema municipale applicato col più felice successo nella tranquilla libertà di un principato»1.

    che serve come di antecedente al diritto penale, non vedesi che rapsodia, illusione e controsenso. Leggasi Cicerone, leggansi gli autori di morale teologia sul preteso diritto naturale platonico, e si vedrà la rapsodia. L’illusione poi sta nel capovolgere una dottrina che racchiude un problema di dinamica morale, nel quale tutti i partiti devono concorrere, ed un problema di diritto che si può dimostrare. Nel primo si tratta di far giocare forze ripulsive contro forze impulsive: nel secondo di far valere la giustizia. Il controsenso poi del tutto mostruoso del Rossi si è quello del preteso consenso del genere umano, accoppiato col modello del jus naturale platonico, e questo controsenso è stato altamente spiegato perfino da Cicerone, il quale dall’opinione e dal fatto pratico delle genti abborrisce di dedurre le regole del jus naturale.
    «Ma ciò che rende abbominevole questa teoria del Rossi, si è che con questo pasticcio si fomenta realmente un ateismo morale ed un arbitrario infinito. Tutte le volte che i dettami non sono sanzionati colla impreteribile necessità della natura si dà luogo all’arbitrario.
    «Non mi fa meraviglia che il Rossi non citi neppur una volta il mio libro della Genesi. Come esso incominciò colla sua prima lezione in Bologna, così pure prosegue anche in Ginevra. Baldassare Poli si ricorda ancora d’uno schiaffo datogli da un condiscepolo, perchè sostenne che la prima lezione udita in Bologna era rubata di pianta dal Filangeri e dalla mia Genesi. Quanto il mio libro è conosciuto in Germania, altrettanto è sconosciuto dal pubblico francese. Il Rossi quindi aveva un bel giuoco pel suo genio plagiario.
    «L’Antologia di Firenze ha fatto troppa grazia ad un nativo italiano al quale punto non cale del suo paese nativo. Ottima quindi reputo l’idea sua di rivedere il pelo a quel libro, onde rendere più popolari i buoni principj. Giovine come ella è, potrebbe per la prima volta prodursi con onore. Faccia pur lei il suo articolo, e lo faccia in proprio nome, perchè chi critica deve mostrare il viso, ed io, se le piace, lo rivedrò prima della stampa».

  1. Discorso dell’Agente Morale Massimo.