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giandomenico romagnosi | 525 |
ciale, e veniva a giustificare e la conquista e il sagrifizio dell’innocente1.
Se oggi più nessuno accontentasi a quella teorica, tutti però lodano quel fissar i limiti delle pene e restringerle alla pura necessità2, lo che non toglieva che legittimasse la pena di morte, e combattesse il Beccaria e gli altri avversi ad essa.
S’astiene da ogni allusione a leggi positive, vigenti: mentre alla chiarezza del lavoro sarebbe non poco giovato lo scendere ad esempj e casi pratici, massimamente ove tratta dell’attentato e della spinta criminosa. Nel parlare del difetto di vigilanza dovea ragionare della polizia, istituzione resa sacra dal suo fine di prevenir i delitti e le disgrazie, e diffamata dalla soverchia ingerenza e dall’immoralità de’ mezzi. Nè abbastanza riesce dimostrato il come la facoltà di punire, che appartiene e risiede nella collezione intera dell’aggregazione sociale, sia trasportata nel pubblico magistero. Natura colla legge del bisogno e colla voce del sentimento e della ragione trae alla società? l’incolumità di questa importa la necessità di punire anche colla morte? Dimostratemi questo, e basta.
Dimostratemelo, io dico, giacchè la difesa indiretta non appaga la ragione. Allorchè nel castigare non avete di mira che l’avve-
- ↑ «Non è iniquo che io sagrifichi il benessere di un altro per la necessità di conservare il mio; come non lo è che egli, per la stessa ragione, faccia lo stesso rapporto a me; quindi la vittoria e la conservazione mia, che io ottengo coll’uso della forza mia, son cose sempre lecite. Ecco il diritto della necessità». § 26.
«Quando l’innocenza viene dalla necessità sacrificata al pubblico interesse, evvi sempre fra la nazione e l’innocenza un urto di diritti in senso contrario, il quale fa sì, che qualunque esito della forza venga giustificato». § 262.
«Anche nel caso che siavi necessità di sacrificare un innocente alla pubblica salvezza, la nazione resta sciolta dall’obbligo di risparmiarlo». § 274. - ↑ Anche nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo leggevasi: — La legge non deve stabilire che pene strettamente ed evidentemente necessarie».
Secondo gli hegeliani, la pena è un atto legittimo del potere sociale in quanta restringa la libertà quanto e come è necessario per la rintegrazione dell’ordine sociale.
Il profondo sentimento suo del vero fa che talvolta ripudii la teorica della semplice difesa, come quando nell’introduzione esclama: «Quanto è desiderabile all’ordine sociale quell’accordo, in cui il reo, all’atto di subire la pena, dice a sè stesso: Io me la sono meritata, e lo spettatore pronuncia ch’ella è giusta! Questa voce, sollevata dal sentimento indelebile di approvazione pel giusto e pel vero, proprio dell’essere intelligente e morale, è l’accordo della stessa natura».