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in quanto si sa che i Guelfi prevalsero. I suoi concittadini ripararono i loro torti istituendo una cattedra per leggerlo e spiegarlo in duomo, ove Domenico di Michelino1 lo dipingeva vestito di priore e laureato, colla Commedia aperta in mano, mostrando a’ suoi cittadini le bolge dell’inferno e la montagna del paradiso; nelle loggie vaticane fu dipinto tra i Padri della Chiesa: al concilio generale di Costanza leggevasi la Divina Commedia, e frà Giovanni di Serravalle minorita riminese, vescovo di Fermo, ad istanza del cardinale Amedeo di Saluzzo e dei vescovi di Bath e di Salisburgo, la tradusse in prosa latina, e ne fece un commento, che sta manoscritto nella Vaticana. Alla badia di Fonte Avellana, sui più difficili Appennini dell’Umbria, dov’egli dimorò alcun tempo, quei camaldolesi moltiplicarono le ricordanze del pio loro ospite: e i suoi contemporanei lo qualificarono theologus Dantes, nullius dogmatis expers.

A smentire queste moderne invenie basta ricorrere al poema stesso. Lutero nega il libero arbitrio, e Dante lo chiama nobile virtude2 e lo fa largamente spiegare da Beatrice. Crede alle scomuniche, alle indulgenze3, alla confessione4; sul purgatorio s’aggira tutta una parte della sua Commedia, e più volte fa che quelle anime domandino i suffragi dei viventi; Manfredi si duole che «il decreto più corto per buon preghi non diventa, chè qui per quei di là molto s’avanza»5. Marco Lombardo lo prega «che per me preghi quando su sarai»6, e Nino Giudice che dica «a Giovanna mia che per

  1. Non l’Orgagna, come si dice volgarmente. Vedi Gave, Carteggio 11. La cattedra da spiegar Dante durò lungo tempo; nel 1412 la Signoria paga otto fiorini il mese a Giovanni di Malpaghini ravennate, il quale aveva lungo tempo commentato Dante, e che ancora lo spiegava ogni domenica; sei anni dopo adempiva tale uffizio Giovanni Gherardi da Pistoja, con sei fiorini il mese; alquanto più tardi gli successe Francesco Filelfo.
  2.                     La nobile virtù Beatrice intende
                        Per lo libero arbitrio
                                                                     Pg. XVIII, 75 e Pd. I

  3. Come i Romani... l’anno del giubileo Inf. XVIII, e al Pg. II, parlando di Casella: e del voltosanto.
  4. Nel IX del Pg. parla delle due chiavi, che si erri piuttosto nell’aprire che nel tener serrato, «perchè la gente a’ piedi mi s’atterri»; e quando l’accusa scoppia dalla propria bocca, rivolge la rota contro il taglio. Pg. XXXI.
  5. Purg. III.
  6. Purg. XVI.
CantùIllustri italiani, vol. I 3