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scipione ricci | 489 |
si gittassero in mezzo dissensi per un rito, per la pluralità degli altari, la Via Crucis, il Sacro Cuore, o la Grazia efficace e la sufficiente.
Era quello un momento che tutti pensavano a riformare il genere umano secondo certe idee preconcette, applicabili a tutti i tempi e i luoghi. N’era derivato un famoso congresso nella taverna di Ems; i teologi e filosofi dell’Holstein formarono una Convenzione del Nord, e proposero al Governo gli autorizzasse a costituirsi in assemblea centrale, con comitati subalterni per meglio sistemare la società. I re erano riusciti a far considerare Roma come un’avara che inghiottiva l’oro, destinato solo alle casse regie; come una riottosa che eccitava a sottrarre all’onnipotenza dei Governi le coscienze; come una ignorante che impediva la diffusione dei lumi, procurata dalle scuole principesche. I filosofisti spingevano i regnanti all’assolutismo coll’abbattere l’unico potere che potesse frenarli, l’ecclesiastico. Conforme alle idee dispotiche allora in moda, Giuseppe II avea tolto i seminarj diocesani, e costituito un portico teologico a Pavia, il quale divenne il quartiere generale di quella guerra da sacristia. Nella libreria Comino le opere che si spacciavano erano le Conferenze del Duguet, le Istituzioni ecclesiastiche di Dannenmayer, la Bibbia del Sacy, le opere di Arnauld, le Provinciali di Pascal, i Discorsi famigliari del Thiebaut, la Verità della religione del Dupin, e gli altri raccomandati dal Ricci. Dettava in quel portico Pietro Tamburini bresciano, che trovata già viva la controversia, venutaci di Francia, vi si buttò e perseverò nella lunghissima vita (1736-1827) con ira contro i Gesuiti e servilità alla potenza regia; campeggiò continuo contro la primazia papale, pubblicando principalmente l’Analisi del libro delle Prescrizioni di Tertulliano (1781), la Vera idea della santa sede e delle Congregazioni di Roma1, e De summa catholicæ de Gratia Chiristi doctrinæ prestantia vel necessitate; opera tradotta in molte lingue.
Lo secondava e difendeva Giuseppe Zola, nato a Concesio di Brescia il 28 agosto 1739, e morto colà il 5 novembre 1806. A lui ancor giovane, Brescia affidò la biblioteca Quiriniana; professò teologia nel seminario, e pubblicò De fontibus theologiæ moralis, volendo richiamare dal molinismo. Quel che diceasi partito gesuitico riuscì a
- ↑ 1781, con note del Guadagnini.