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pensava con quello; cercava che seriamente e sinceramente si praticassero i principj, accettati allora comunemente; nel secondare la sua fazione non pensava punto a crollare le credenze, a trasformare la società, a sovvertire la fede: flagellò alcuni pontefici, ma perchè, secondo lui, traviavano e corrompeano la santità del papato, cui pur sempre egli riguardava come la chiave maestra dell’edifìzio sociale. La facoltà, in lui eminente, di concentrar in sè il proprio secolo e di rifletterlo di fuori, esclude di necessità il concetto di opporsi a questo, di volere trasfigurarlo. Espone precisissima la formola del cattolicesimo1. Il mondo egli riguarda come una rappresentazione cattolica dell’umanità, per modo che anche i pagani, anche le divinità gentilesche trovano posto in quell’unità e vi ricevono l’impronta del tempo figurato nel poema. Caccia in inferno qualche papa; Clemente V, pastore senza legge e di più laid’opera (Inf. XIX), colloca con Simon mago ad aspettare Bonifazio VIII.
E nessuno, in questa apocalissi della società laica, fu più bersagliato dall’Alighieri che Bonifazio VIII, contro cui ben nove volte si scaglia, come ad uomo non mai satollo dell’avere, pel quale non temè tôrre a inganno la santa Chiesa, e poi farne strazio; che mutò il cimitero di san Pietro in cloaca della puzza e del sangue onde si placa il demonio, in modo che i cristiani siedano parte a destra, parte a manca, e i vessilli segnati colle chiavi s’inalberino contro i battezzati, e Pietro s’impronti sovra suggelli a privilegi venduti e mendaci.
Ma per quanto ingiustamente fiero a questo, allorchè ne vide intaccata l’autorità del re di Francia, e sminuite le ragioni della Chiesa, tonò gravemente contro il nuovo Pilato2; morto Clemente V, dirige una lettera ai cardinali adunati in Carpentrasso, acciochè eleggano un papa italiano che ritorni a quella Roma, di cui perfino i sassi pareangli venerabili. E della sua Firenze, allora in