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468 | illustri italiani |
ch’è il primo universale in Occidente, la confermò; poi il secondo lateranese (1139) rinnovò la scomunica contro chi ricevesse l’investitura laicale.
In tale accordo il vantaggio restava tutto al poter secolare, perocchè l’imperatore non recedeva da alcuna delle sue pretensioni, vedevasi confermato l’alto dominio, e dirigeva le scelte. Ma la Chiesa sacrificava le eventualità temporali al desiderio di far indipendente lo spirituale. Dappoi l’imperatore Lotario II rinunziò al diritto di assistere alle elezioni; come poco a poco fa tolto ai principi il goder de’ frutti de’ benefizj vacanti, e dello spoglio de’ vescovi e abati defunti.
Fu non pace ma tregua, e il cozzo fra i due principj rappresentati da Gregorio VII e da Enrico IV dura tuttavia, onde non è meraviglia se i giudizj intorno a quel passato rimangono discordi.
E già ad Alfonso di Castiglia scriveva Gregorio VII: — Il livore de’ miei nemici e gl’iniqui giudizj sul conto mio, non vengono da torto ch’io abbia loro recato, bensì dal sostenere la verità e oppormi all’ingiustizia. Facile mi sarebbe stato rendermi servi costoro, e ottenerne donativi più ricchi ancora che i predecessori miei, se avessi preferito di tacere la verità e dissimulare la loro nequizia: ma oltre la brevità della vita e lo sprezzo che meritano i beni del mondo, io considerai che nessuno meritò nome di vescovo se non soffrendo per la giustizia; onde risolsi attirarmi piuttosto il livore de’ ribaldi coll’obbedire a Dio, che espormi alla sua collera compiacendoli con ingiustizie».
Così prevedeva gli odj d’una posterità, adoratrice della forza, e che chiamò arroganza l’aver un prete osato fiaccare le burbanze d’un re.
Gregorio VII fu santificato da Benedetto XIII nel 1729; e Giuseppe II, imperatore sacristano, lo fece espungere dai calendarj austriaci. Non v’è ingiurie che non siansi dette a questo pontefice dai cesaristi; ma altrettante lodi gli furono attribuite, massime dai moderni, anche protestanti, e principalmente da Voigt nella vita che di lui scrisse. Guizot lo mette a paro di Carlomagno e di Pietro czar, riformatori per via del despotismo. Stephen (nell’Edimbourg review) lo dichiara il più nobile genio che regnasse a Roma dopo Giulio Cesare; e, come protestante detestando lo scopo di lui, lo riconosce «favorevole e forse essenziale al progresso del cristianesimo e della