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gregorio vii | 459 |
Terribile pena! I fedeli restavano privi di quella parola e di quelle cerimonie religiose che dirigono l’anima in mezzo ai turbini, e la francheggiano nelle lotte della vita. La chiesa, monumento ove tanti segni visibili rappresentano la magnificenza del Dio invisibile e dell’eterno suo regno, sorgeva ancora di mezzo alle stanze de’ mortali, ma come un cadavere senza sintomo di vita: più il sacerdote non consacrava il pane e il vino per le anime fameliche del vivifico nutrimento; non rilevava coll’assoluzione i cuori oppressi dal rimorso; negava l’acqua santa al segno del combattimento e della vittoria. Muto l’organo, muti gl’inni, che tante volte aveano tornato sereno l’animo contristato; muto il solenne mattinare delle suore di Cristo: le campane più non toccano che qualche volta a scorruccio; non più suona la parola di salute dal pulpito, donde, l’ultima ora che il santuario restò aperto, lanciaronsi sassi, significando alla turba che in pari modo Iddio l’avea rejetta. Le porte della Chiesa del Dio vivente erano chiuse al par di quelle della terrestre; estinte le lucerne tra canti funerei, come se la vita e la luce avessero ceduto luogo alle tenebre e alla morte: un velo nascondeva il crocifisso e le effigie edificanti che parlano al senso interno per via degli esterni. Solo a qualche convento era permesso, senza intervento di laici, a bassa voce, a porte chiuse e nella solitudine della notte, supplicar il Signore a ravvivare colla grazia gli spiriti estinti. La vita non era santificata nelle importanti sue fasi, quasi più non esistesse mediatore fra il reo e Dio; il fanciullo era accolto al battesimo, ma senza solennità, quasi di furto; i matrimonj si benedicevano sulle tombe, anzichè all’altare della vita. Il sacerdote esortava a penitenza, ma sotto il portico della chiesa e in negra stola: quivi soltanto la puerpera veniva a purificarsi, e il pellegrino a ricever la benedizione pel suo cammino. Il viatico, consacrato dal prete solitario, portavasi in segreto al moribondo, ma gli si negava l’estrema unzione e la sepoltura in terra sacra, anzi talvolta ogni sepoltura, eccetto a preti, a mendichi, stranieri e pellegrini. Le solennità, epoche gloriose della vita spirituale, in cui il signore e il vassallo univansi all’altare nella comunanza della gioja e della preghiera, diventavano giorni di lutto, ove il pastore fra il suo gregge raddoppiava i gemiti e i salmi della penitenza universale e il digiuno. Interrotto ogni commercio, questa morte dell’industria scemava le rendite del signore: i notaj tacevano negli atti il nome del principe colpito: ogni disastro consideravasi come frutto di quella maledizione.