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28 illustri italiani

non voleva che i posteri immaginassero tener lui di Fiorenza altro che l’aria ed i suolo»1. Avesse almeno aggiunto e l’idioma, senza cui non avrebbe egli potuto farsi per gloria eterno. Ma chi dalle care illusioni della gioventù, infiorate da una benevola fantasia, per iniquità degli uomini trovasi balestrato negli acerbi disinganni e fuori del circolo dell’operosità, degli affetti, delle speranze primitive; chi abbia sentito profondamente come Dante, e come Dante sofferto le persecuzioni del secolo, che non suol perdonare a chi di buon tratto lo precede; quegli solo ha diritto a condannarlo di tali iracondie.

Nè men gravi dispetti mostrava Dante alle altre città italiane: gente vana più che i Francesi è quella di Siena; i Romagnuoli son tornati in bastardi; i Genovesi diversi d’ogni costume e pien d’ogni magagna; in Lucca ogni uomo è barattiere; avari e lenoni i Bolognesi, i Veneziani di ottusa e bestiale ignoranza, di pessimi e vituperosissimi costumi, e sommersi nel fango d’ogni sfrenata licenza2: l’Arno appena nato passa tra brutti porci, più degni di galle che d’altro cibo; poi viene a botoli ringhiosi, che sono gli Aretini; indi tra’ lupi di Firenze; infine alle volpi piene di frodi, quai sono quelli di Pisa. A questa, vitupero delle genti, impreca che ogni persona vi si anneghi; a Pistoja, che sia incenerita perchè procede sempre in peggio fare; al Casentino che il nome di tal valle pera: Firenze è la maledetta e sventurata fossa; Romagna è piena di venenosi sterpi; Bagnocavallo deve isterilire; nella Puglia son vilissimi soldati; nella Marca Trevisana perpetui traditori; la Lombardia è degna di chi lasciasse per vergogna di ragionar coi buoni.

Le antiche case rimorde come diredate delle prische virtù; i Malatesti fan dei denti succhio; i Gallura divennero vasel d’ogni frode; Branca Doria vive ancora, eppur l’anima sua giù spasima in inferno, e lasciò un diavolo a governare il corpo suo e d’un suo prossimano; in Verona i Montecchi e Capuleti sono gli uni già tristi, gli altri in sospetto; Alberto della Scala è mal del corpo intiero, e peggio della mente; Guido da Montefeltro ebbe opere non leonine, ma di volpe, e seppe tutti gli accorgimenti e le coperte vie; al buon re Roberto iterò oltraggi, come men acconcio allo scettro che alla cocolla. Così augura

  1. Epistola dedicatoria.
  2. Lettera a Guido Novello da Polenta, che i Veneziani vorrebbero apocrifa.