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o da cui poteano sbraveggiar la legge, costretta ad assumere le sembianze della forza.

Così dentro le città contendeano nobili e borghesi, quelli per recuperare le giurisdizioni di un tempo, questi pretendendole soli; che è la contesa odierna de’ paesi costituiti, e se ai soli proprietarj competa la pienezza dei diritti civili. Per lo più i nobili otteneano prevalenza in grazia dei possessi, delle parentela, dell’abito di comandare, come i Buoso, gli Ezelini, i Polenta. Qualche città, fra cui Firenze, gli escludeva assolutamente dalle magistrature, talchè Dante stesso, che vantavasi di stipe venuta da Roma, doveva immatricolarsi fra gli speziali; a Pisa e a Lucca non poteano deporre testimonianza contro un plebeo, e bastava la voce popolare per condannarli.

Questi conflitti della spada col pastorale, de’ Comuni co’ principi, dell’illustrazione storica de’ Ghibellini coll’illustrazione teocratica dei Guelfi, sotto qualsifosse nome, non erano speciali alla patria nostra, ma condizioni generali dell’Europa, in uno di que’ periodi critici in cui, l’autorità rimanendo debolissima, grandeggiano gli uomini, come vediamo in Dante, che n’era testimonio, vittima, pittore.

Dei peccati di Firenze trova egli la ragione nell’aver ricevuto a cittadinanza quei di Campi, di Certaldo, di Figline, mentre le gioverebbe trovarsi ancora ristretta fra il Galluzzo e Trespiano, nell’aver accolto il villan puzzolente d’Aguglione e il barattiere da Signa1 in mezzo alla nobiltà veramente romana, rimastavi dalle prime colonie, e mal attorniata da quelli che discesero da Fiesole, e che tengono ancora del natio macigno. Se alcuno rimane di quella buona stirpe antica, non serve che a raffaccio del secolo selvaggio, ora che la città è turpe di gola, superbia, avarizia, invidia; nemica ai pochi buoni che ancor vi allignano; del resto spensierata sì, che ogni tratto cambia leggi, monete, uffizj, costume, e provede sì scarsamente, che a mezzo novembre non giunge quel che filò d’ottobre.

Voi qui sentite il patrizio intollerante, il quale, stizzito non solo coi rettori della patria, ma colla patria stessa, oltre eccitare l’imperatore a «venir abbattere questo Golia colla frombola della sua sapienza e colla pietra della sua fortezza,» professò che «per quanto fortuna l’avesse condannato a portar il nome di fiorentino,

  1. Par. XVI Baldo d’Aguglione e Morubaldini da Signa erano quelli che proferirono la sentenza capitale contro Dante.