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profusi da ogni parte; di lui parlano molte poesie del tempo1; Aldo Manuzio stampatore, Muzio Manfredi tragico, i genovesi Gustavini letterato e Bernardo Castelli pittore teneangli spesso compagnia; ivi contrasse durevole amicizia col padre Angelo Grillo e con Antonio Costantini: il cardinale Alberto d’Austria, l’imperatore Rodolfo, il granduca e la granduchessa di Toscana, i papi Gregorio XIII e Sisto V, il duca d’Urbino, la duchessa di Mantova col figlio, il principe di Molfetta, il signor di Sassuolo, la città di Bergamo supplicavano per la sua liberazione. In sei mesi comparvero sei stampe del Goffredo; diciotto in cinque anni; ed una in Francia, dove era veneratissimo, e dove Balzac, dispensiero della gloria, diceva che «Virgilio è causa che il Tasso non sia il primo, e il Tasso è causa che Virgilio non sia solo», benchè il rimproveri perchè mescola il sacro al gentilesco, e come il suo Ismeno, «sovente in uso empio e profano confonde le due leggi a sè

    et crudele trafitto: nondimeno, se riteniamo l’uno dei titoli, puossi difendere con lo scudo di Virgilio, havendo egli etiandio con tale intentione scritto forse quell’altro volume, nomato Rinaldo. Se ameremo meglio il secondo, sarà pur lodevole, appoggiandosi all’autorità sua propria et del Trissino. Ma ben deve essere pregato ciascun gentile spirito, che leggerà questo poema, a scolpare in ogni maniera nobilmente l’Autore se alcun picciol difetto vi scorgesse, overo non riuscisse così di sua piena soddisfattione, stimando egli non l’haver potuto rivedere compiutamente nè porgli l’ultima mano, insino a tanto che la rea fortuna cangi quell’infelice stato, in cui questo ammirabile Poeta è caduto, et lo renda al mondo: di che, quando intervenga, dovranno i mortali tenere obligo eterno alla molta liberalità et magnificenza del Serenissimo Signor Duca di Ferrara, il quale, seguendo l’orme dei suoi Predecessori e veri mecenati delle Muse, la sua salute con ogni carità et diligenza di continuo va procurando. Di Vicenza, alli 13 d’aprile, 1582».

  1. Giovanni Battista Maganza, vicentino, in lingua padovana, ne diceva:

                        Perquè se lagna el me caro figiuolo,
                   El me paron messier Torquato Tasso
                   Che ’l sipia insaraggiò, che staghe solo,
                   E col vorave, el no pò anare a spasso?
                   
                        Che ben ch’agn’homo muora
                   E ch’agno cousa manche, a ve sè dire
                   Che mè a si per mancar, mè per morire,
                   
                        S’agnon brama d’aldire,
                   E sliezer quel bel libro ch’ha g’hi fatto,
                   Attendi a far che’l sea stampà in t’un tratto.

    Rime in lingua rustica padovana, ecc., Venezia, 1620, pag. 153.