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394 illustri italiani

compajono in un traduttore che incontrò, più prolisso di lui, l’Anguillara; Seneca, il prolisso Seneca, lo rimbrotta di prolissità e critica il diluvio; eppure qualche volta Ovidio affetta di essere conciso, e allora diventa epigrammatico1. Lede perfin la grammatica2: divertesi in giocherelli di parole:

               In precio precium nunc est....
               Cedere jussit aquam, jussa recessit aqua....
               Speque timor dubia, spesque timore cadit....
               Quæ bos ex homine est, ex bove facta dea....

ed è un giocherello tutta la sua descrizione del caos, che pure alcuni ammirano e nell’originale e nella traduzione.

Da quell’affastellamento di mitologia, peggio che in un pastor arcade, non sa sottrarsi neppur nella passione. Le analisi sue non versano che sulla passione più comune, ma neppure in essa non penetra oltre la scorza. Ripetiamo, era un improvvisatore; capiva i falli e la necessità di correggerli, ma poi non vi si sapea risolvere; e purchè riuscisse a farsi leggere, poco gl’importava delle critiche3. Doveva anzi tenerne ben lieve conto, se è vero quel che Seneca il vecchio racconta; gli amici di Ovidio averlo pregato a cancellare tre versi, ch’essi gli additerebbero; ed egli il promise, purchè non fossero certi tre ch’egli prediligeva. Scrissero essi i versi riprovati, scrisse egli gli eccettuati, e si vide che erano gli identici. Due erano:

               Semibovemque virum, semivirumque bovem
               Et gelidum Boream, egelidumque Notum.

  1. Flora dice:

                        Ver erat: errabam. Zephirus conspexit: abibam;
                             Insequitur: fugio; fortior ille fuit.

    Fasti, II

    Di Ilia:

         Mars videt hanc, visamque cupit, potiturque cupitam.

    Fasti. II


    Narciso,

    Rem sine corpore amat; corpus putat esse quod umbra est.

  2. Egli stesso si rimprovera di questo verso:

                        Tum didici getice sarmaticeque loqui.

    Una volta nel verso non accomodandogli mori, disse;

                        At strepitum, mortemque timens, cupidusque moriri.

    Altrove leggiamo:

                   Denique quisquis erat castris jugulatus achivis,
                        Frigidius glacie pectus amantis erat.

    A chi appartiene il quisquis?

  3.                Dummodo sic placeam, dum toto canar in orbe,
                        Quod volet impugnent unus et alter opus.

    Rem. Am. 363.