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382 | illustri italiani |
barriere del mondo, e percorre colla mente l’immensità (extra Processit longe flammantia moenia mundi, Atque omne immensim peragravit mente animoque); dove più non riscontra la divinità, ma le forze della natura, il gran caso; e deduce la poesia dalla negazione, dall’arido sillogismo, come altri dalla fede; egli dalla bestemmia come altri dall’adorazione; egli dalla tranquilla disperazione come altri dalle speranze spirituali e fin superstiziose.
Ovidio non credeva forse più che Lucrezio, ma invece di argomentare coi liberi pensatori, tenevasi coi cortigiani, colle scuole, colla scienza vulgare, che erasi formato un cielo convenzionale, lontano da quei terrori d’una natura inconsapevole, d’una divinità inesorabile, dallo strepito dell’Acheronte Averno come dalle immagini pietose o terribili, voluttuose o meste, con cui i primieri aveano riflessa nel cielo la propria storia. Per entro un magazzino di tradizioni cerca colori e figure per formarne un quadro. Poeta di genio non è, nè possiede la grand’arte che rivelasi per un organismo ideale: evoca miti e leggende a cui più nessun crede; accetta un Olimpo, irreconciliabile collo scetticismo ormai prevalente; canta, ma senza coscienza in quindici libri di 12,000 esametri le trasformazioni subite da uomini e Dei. Questo scioglimento riesce troppo uniforme nelle 246 favole, le quali rannoda con passaggi poco naturali, e quasi senz’altro collegamento che della successione; non come pietre combinate in un musaico, ma come perle infilate.
Non diverso dagli autori suoi contemporanei, nessuna fatica si piglia d’inventare e di esser originale, e tutto desume da poemi o drammi di antichi o di contemporanei, e principalmente dal greco Partenio. Soltanto l’episodio di Piramo e Tisbe non ha riscontro che fin qui siasi scoperto; e se l’inventò egli stesso, basta ad assicurargli il titolo di poeta. Neppure si propone verun fine civile o politico, salvo quello di metter Cesare in cielo.
Nè tampoco sa cogliere i rapporti ideali delle cose e i molteplici aspetti del pensiero; non profondità di tocco, non il mondo interiore, non il patetico, non l’unità organica, non sculte le sembianze d’un tempo; manca e della forza che crea e di quella che pensa, e delle lacrime delle cose: nulla di profondo, di mistico, di sistematico; non filosofia, non teologia; non sa nobilitare le tradizioni vulgari; secondo l’eclettismo della scuola Alessandrina, assume le favole della mitologia popolare senza discuterle o rivelarne l’assurdo; in alcune toglie ai