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— Nacqui in Sulmona, città ne’ Peligni, denominata dal frigio Sulimo, distante novanta miglia da Roma1; e come di Mantova Virgilio, di Verona [[Autore:Gaio Valerio Catullo|Tibullo]], così io sarò la gloria del paese peligno2. Mio padre era dell’ordine equestre, antichissima la famiglia, e seconda a nessuna in nobiltà, ma di media condizione fra la povertà e la ricchezza3. Vidi la luce l’anno che i consoli Irzio e Pausa perirono

  1.                Sulmo mihi patria est
                        Millia qui novies distat ab urbe decem.

    Trist. IV, 10.

                   Hujus erat Solymus phrigia comes unus ab Ida,
                        A quo Sulmonis mœnia nomen habent.

    Fasti, IV, 74.

    Non deve dunque confondersi con Sulmo sull’Ofanto, oggi Sermoneta. È tradizione che la chiesa parrocchiale fosse già un tempio, vicino alla casa del poeta, che ora sarebbe il palazzo Mazara, e che una villa sua campestre fosse fuor di città alle falde del monte Morone presso l’abazia dì Sant’Onofrio de’ Celestini, or ricovero dei projetti, e si vorrebbero indicare colà la fonte ch’egli celebra nella 16 el. del libro II Amori, il laureto, il vivajo. Quel Comune ha nel suo stemma S. M. P. E, iniziali di Sulmo mihi patria est, e le metteva in forma di croce sulle monete, il cui drillo presentava san Pietro Celestino.

  2.                Mantua Virgilio gaudet, Verona Catullo,
                       Pelignæ dicar gloria gentis ego.

    Amor. III, 15.

  3.           Seu genus excutias, equites ab origine prima
                   Usque per innumeros inveniemur avos.

    De Ponto, IV, 9.

                   Sic quoque parva (domus) tamen, patrio dicatur ut ævo
                        Clara, nec ullius nobililate minor.
                   Et neque divitiis, nec paupertate notanda.

    Trist. II.