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324 illustri italiani


E frequenti nasceano altre occasioni di Te Deum, accompagnati da pastorali dove i vescovi esaltavano il presente ordine, e, ispirati dal ministero, lanciavano qualche motto contro gli scismatici russi, gli eretici inglesi, le persecuzioni usate ai Cattolici in Irlanda: non doveano mai mancar le lodi al restaurator della Chiesa, e toccava rimproveri chi se ne mostrasse parco. Introdusse di far leggere nelle chiese i bullettini dell’esercito, ma poi gli parve che con ciò si desse ai preti un’ingerenza nelle cose politiche, qual egli non voleva. Per ciò escludevansi i preti da gradi, se non avessero la laurea dell’Università (30 luglio 1806), la quale potrebbe ricusarsi «a chi fosse conosciuto per idee oltramontane, pericolose all’autorità». Se anche semplici curati mostrassero segno d’indipendenza, faceali chiudere prima in conventi, poi in prigioni; e quelle di Vincennes, di Santa Margherita, di Fenestrelle, d’Ivrea furono piene di sacerdoti, non processati, non condannati, che o vi morirono, o furono liberati alla caduta di lui, senza sapere il perchè fossero stati detenuti.

Fin dal principio lagnavasi altamente delle sofisticaggini di Pio VII, e dal cardinale Fesch suo zio1 gli faceva rimostrare che con ciò produceva la ruina della religione: minacciava che la Francia fosse per divenir protestante; e al nunzio Caprara rimproverando qualche opposizione, diceva: — Non è più il tempo che i preti faceano miracoli. Richiamate quel tempo, ed io vi cedo tutto. Nelle contingenze presenti, a me dovete lasciar fare ogni cosa, prestandomi appoggio fin dove la religione lo consente. Le differenze nostre han fatto nascere fra gl’increduli e gli atei l’idea di gettarsi nel protestantismo, che, dicono, non cagiona discussioni, e i cui capi fanno ogni opera per trarre il mondo in questa via».

Fin dai primi tempi, ma viepiù in appresso, falsificava o alterava i documenti emanati dalla santa sede nel riprodurli sul Moniteur o nel tradurli, nè esitava di darvi interpretazioni e spiegazioni fallaci.

  1. La madre di Letizia Ramolino sposò in seconde nozze un Fesch, capitano d’un reggimento svizzero, che la repubblica di Genova manteneva in Corsica; e da lui ebbe, ai 3 gennajo 1763, questo figlio che era dunque fratello uterino della madre di Napoleone, e che fu arcivescovo di Lione, gran lemosiniere dell’impero, conte, senatore, eppure al Concilio del 1810 osò contraddire al dispotico nipote, onde cadde in disgrazia e si ritirò nella sua diocesi di Lione. Dopo il 1814 si stabilì a Roma ove morì nel 1839.