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poteva con una parola sospenderli o cassarli. Il Consiglio di Stalo chiamavasi assemblea di muti, e i suoi membri erano portati sulla lista d’attività solo di tre in tre mesi. Avendo l’imperatore cassato il verdetto d’un giurì, il relatore proferì che l’imperatore era la legge vivente, mentre il Codice non era che la legge scritta.

Spazzate via tutte le istituzioni moderatrici, neppur all’opinione pubblica lasciò i suoi organi. La stampa erasi sbrigliata al tempo della repubblica, fin a divenire non solo complice, ma eccitatrice degli assassinj. Dappoi vi s’era introdotta qualche regola, ma di mera polizia, come quando si impediscono monellerie per le strade. Napoleone non volle ucciderla, ma farsene una serva, come di tutto: giacchè allora essa era temuta, non caduta ancora nello sprezzo odierno. Pochi giornali lasciò sussistere, e non li sottomise alla censura, bensì agli avvertimenti, non solo se avversi, ma se non plaudenti. Ciò faceva temere e procedere cauti, ancor più che non l’avrebbe preteso il Governo: ed è meraviglia il vedere nella Corrispondenza di Napoleone quanta cura egli si prendea di ciò che dicessero i giornali, oltre mandarvi articoli stesi da lui stesso, o ad ispirazione sua. — Voglio sapere (scriveva il 26 dicembre 1803 al gran giudice) se i fratelli Bertin, costantemente pagati dagl’Inglesi, han l’impresa del Mercurio e dei Debats. Dite loro che è l’ultima volta che fo loro conoscere il mio malcontento, e che, se seguitano di questo passo a sgomentar la nazione e farsi eco degli intrighi inglesi, non conosceranno il mio scontento che per la soppressione del loro giornale»1.

Ciò duranti ancora le forme repubblicane; di poi, neppur possi-

  1. A Fouchè ministro della Polizia, da Stupinigi, 28 aprile 1805, scrive:
    «La riforma de’ giornali avverrà ben tosto, giacchè è una bestialità aver de’ giornali che hanno solo gli sconci della libertà della stampa, senza averne i vantaggi. Dite ai redattori che non si tratta oggi d’essere più o men cattivo, ma di esser buoni affatto. Ripetendolo ai varj giornali, e dicendo che han ancora due o tre mesi da far le loro prove, toccherà loro a profittare di questi avvisi».
    Allo stesso, da Milano, 20 maggio 1805.
    «È mia intenzione che il Giornale dei Dibattimenti d’or innanzi non compaja, se il giorno prima non fu sottomesso alla censura. Nominate un censore, persona sicura, affezionata e di tatto, a cui i proprietarj del giornale daranno dodicimila franchi d’assegno. A questa sola condizione permetterò che questo giornale continui.... Fate conoscer ciò ai giornali, avvertiteli che, se spacciano notizie assurde e con cattive intenzioni, io farò altrettanto coi loro fogli».