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reclamavano la loro chiesa, la lor canonica, le loro campane, i segni esteriori del culto, ed è famoso il rapporto che, nella tornata del 29 pratile anno V, fece Camillo Jordan, appoggiandosi all’articolo della Costituzione che «nessuno poteva esser impedito dal professare il culto che scegliesse, conformandosi alle leggi»1. Era troppo presto per parlare di pace e giustizia, ond’egli fu oppresso di beffe e d’insulti, ma appena il Direttorio sospese le persecuzioni, 40,000 Comuni ripristinarono il culto.

Quinet, nel suo libro sulle Rivoluzioni, disapprovando tutti i temperamenti della civiltà e i precetti dell’umanità, invoca contro i dissidenti, cioè i Cattolici, la distruzione e l’eccidio; deride coloro che presumono annichilare il cristianesimo senza ferocia; mentre bisogna

    plizio di Luigi XVI e quel di Maria Antonietta, trova che i Giacobini fecero vacanza le tre feste di pentecoste; e le mercatine esposero tappeti per la processione del Corpus Domini; e quando passò il sacramento, quasi tutte s’inginocchiarono e così gli uomini: e si spararono più di cento fucilate.
    L’intolleranza dei dominanti d’Italia oggi nol permetterebbe.

  1. «In ciò (diceva) la volontà pubblica è unanime, costante, manifesta. Udite le voci che s’alzano d’ogni parte: fatele risonare voi che officialmente visitaste testè la Francia. Che cosa avete veduto in seno delle famiglie? che cosa nelle assemblea primarie ed elettorali? quai raccomandazioni mesceansi alle festive acclamazioni? Dapertutto i vostri concittadini reclamano il libero esercizio de’ loro culti; dapertutto questi uomini semplici e buoni che coprono le nostre campagne, e le fecondano con utili fatiche, tendono le mani supplichevoli verso i padri del popolo, implorando sia loro permesso di seguir in pace la religione del loro cuore, di sceglierne a loro grado i ministri, e di riposar in seno alle loro più dolci abitudini dai mali che han sofferto».
    Altrove diceva: — Il bisogno delle idee religiose è sentito vie più dai popoli in rivoluzione. Allora agli infelici fa mestieri di speranze: esse ne fanno splendere i raggi nell’asilo del dolore, esse rischiarano fin la notte del sepolcro, esse davanti all’uom mortale e finito aprono immensi e magnifici prospetti. Legislatori, che cosa sono gli altri vostri benefizj a fronte di questo gran bene? Voi compiangete il povero, la religione lo consola: voi reclamate i suoi diritti, essa gliene assicura il godimento. Spesso noi abbiam parlato del nostro amore pel popolo, del nostro rispetto per le sue volontà: se questo non fu un vano ciarlare, rispettiamo innanzi tutto istituzioni così care alla moltitudine. Di qualunque nome l’alta nostra filosofia piacciasi notarli, qualunque siano i godimenti più squisiti a cui noi pensiamo ch’essa ci ammetta, colà il popolo fermò i suoi desiderj, colà le sue affezioni, e basta; e tutti i nostri sistemi devono abbassarsi davanti alla sovrana sua volontà».
    Si sa come le canzoni popolari e i libelli lo corbellassero dell’aver parlato con enfasi delle campane e del quanto siano care al popolo. Turpezze della dotta aristocrazia, rinnovate ai dì nostri nel nostro paese.