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pioni. Eppure esso li sprezzava: — Gli Italiani son una gente fiacca, pantalona, superstiziosa, vile. Nel mio esercito non c’è neppure un Italiano, salvo 1500 arnesi, raccolti per le vie delle città, non buoni che a saccheggiare».

Così lascia trapelare quel vilipendio de’ popoli, che fu la colpa eterna della sua politica; nella quale si prefisse sempre non di uniformarsi ai sentimenti e alle credenze loro, ma d’adoprarli a propria servigio. In ciò secondavalo il Direttorio, che gli scriveva: — Alla prima occasione, spremete dai Lombardi quanto potete; fate di guastare i loro canali e le altre opere pubbliche: ma prudenza». Buonaparte guardavasi bene dal lasciar trapelare questi ordini. Sapeva che il Direttorio volea conquistar la Lombardia, per potere poi restituirla agli Austriaci in baratto de’ Paesi Bassi, ma egli non parlava che di liberazione; protestava non saremmo nè Francesi, nè Tedeschi, ma Italiani; lasciava sbaccanare i soliti appaltani di dimostrazioni, trescare i soliti ambiziosi, rubare al solito gli abbondanzieri, ma ordine e obbedienza, o guai. Insomma della rivoluzione voleva quel tanto solo che gli giovasse e servisse: sdegnava quei che lo intitolavano cittadino generale e lasciavasi dire Eccellenza; blandiva i nobili, sprezzava i capipopolo: ha troppo veduto che la violazione delle leggi porta la frenesia degli atti.

Il suo concetto era di voltare nel Tirolo, e per la valle dell’Inn e del Danubio congiungersi agli eserciti sul Reno, comandati da Moreau e Jourdan; ma Carnot, che riguardava come chimerico e pericoloso questo divisamento, e d’altra parte voleva blandire le antipatie rivoluzionarie pei re e pei papi, suggerivagli di lasciar metà dell’esercito in Lombardia, e col resto difilarsi sopra Roma e Napoli. Era per l’appunto il piano che rovinò Carlo VIII, e Buonaparte che se n’accorse, osò disobbedire, e porre assedio a Mantova, ultimo rifugio dell’aquila bicipite; indi avviossi a ritroso dell’Adige. Non potea farlo senza violare il territorio della repubblica veneta, opportunamente frapposto; ed egli non vi bada; varca il Mincio a Borghetto; si stabilisce in Peschiera; occupa Verona e assedia Mantova (3 giugno).

L’Austria allora dovette smettere il pensiero d’invader la Francia, e vedendo che, perduta Mantova, si troverebbe scoperta da quel fianco, mandò pel Tirolo il generale Wurmser con 60,000 combattenti, coi quali, secondati dai 10,000 chiusi in Mantova e dai devoti Ti-