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296 illustri italiani


Il primo nemico che s’incontrasse erano i Piemontesi, i quali serragliavano i varchi dell’Alpi con 22,000 uomini, comandati dal generale Colli, e fiancheggiati da 36,000 Austriaci sotto Beaulieu. Ma i due generali guardandosi con gelosia, non operavano d’accordo, sicchè Buonaparte, moderato nell’ardimento, mentr’essi aspettavanlo per Genova, procede per la val della Bórmida: rottili a Montenotte e Mondovì, pel passo di Millesimo (11-14 aprile 1796) sbocca sopra il centro nemico, separa gli Austriaci dai Piemontesi, e questi sbaraglia. Il re di Sardegna, vedendo che, tra la servitù austriaca e la servitù francese, questa era meno odiata anche perchè nuova, si rassegna ad accordi, e in un armistizio (28 aprile) cede le fortezze di Ceva, Cuneo, Alessandria, Tortona, il che apriva la strada alla Lombardia.

Quanto coll’armi, altrettanto valeva Buonaparte a guerreggiare colle parole e coi sentimenti. Capì che, se avesse conquistato il Piemonte seminandovi le idee repubblicane, avrebbe sollevato il popolo contro i nobili e i preti, e si sarebbe così reso responsale degli eccessi, inevitabili in simili conflitti. Se al contrario, giungendo sul Ticino e sull’Adige, sciorinasse la magica parola d’indipendenza, il patriotismo italiano si concentrerebbe contro gli Austriaci, le varie classi accordandosi nel respingere questi e nell’innalzare il sacro nome d’Italia. Da Cherasco pertanto lanciò un proclama, ove diceva: — Italiani, l’esercito di Francia viene a spezzare le vostre catene. Il popolo francese è amico di tutti i popoli; corretegli incontro; le proprietà, le consuetudini, la religione vostra saranno rispettate. Faremo la guerra da nemici generosi, e soltanto contro i tiranni che vi tengono servi».

Eccolo allora, con esercito pasciuto, coll’artiglieria presa da tante fortezze, e ingrossando de’ volontarj che non mancano mai ai fortunati, calare nelle pingui valli sulla destra del Po, in un terreno proporzionato all’esercito. — Abbiamo riportato sei vittorie in quindici giorni, preso ventisei vascelli, cinquantacinque cannoni, molte piazze, quindicimila prigionieri; abbiam guadagnato battaglie senz’artiglieria, passato fiumi senza ponti, marciato senza scarpe, serenato senza acquavite e talora senza pane», diceva ne’ suoi bullettini, al leggere i quali la Francia smiracolava d’applausi all’eroe, testè sconosciuto: l’Italia poneasi in ascolto fra ansietà e meraviglia; e come tutte le volte che cambia padroni, fantasticava liberazione e felicità. La credeano, o almeno la promettevano quelli che aveano letto gli