Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/314

292 illustri italiani

piedi spalancato l’abisso, e meglio d’ogni altro misurò l’insufficienza del re, allora portò nella politica sagaci presentimenti e risoluzioni istantanee, un coraggio capace di affrontar la lotta e di accettare il sagrifizio; e sopra una fronte maestosa e bella la monarchia conservò fin al fine il suo prestigio, perchè la regina non cessò di credervi. Ma ignara dei tempi, degli uomini, delle cose, non trovava a sè daccanto in chi confidarsi, onde stentatamente da varie parti mendicava lumi per trasmetterli al re. Nè già di lumi mancava Luigi; bensì di quel che la regina aveva, ma che non si comunica, la volontà, la fede in sè e nella propria causa. La forza d’animo di Maria Antonietta non potè supplire alla fiacchezza di Luigi; onde non potendo salvarlo, ella pose l’onor suo a rimaner associata non solo alla sorte, ma a tutti i passi di lui. Però la Corte temeva i costituzionali più che i giacobini, che credeva guadagnar a denaro; teneansi corrispondenze con Mirabeau, Pethion, Vergniaud, Gaudet, Santerre; davasi loro denaro perchè calmassero la plebe, e fin 750,000 lire, con cui forse essi pagarono gli assassini del 10 agosto; ma con nessuno aveasi confidenza intera: intanto Roland, Dumouriez, Clavière spingeano il re a firmar i decreti contro il clero, contro i migrati e i proprj fratelli.

Fra sì inette oscillanze la rivoluzione trionfa; sfoggia una balda franchezza contro l’assolutismo che non esiste: e in nome della virtù si costituisce il governo più orribile che mai uomini abbiano subito, il Terrore, che non risparmiò nessuno: e che fu possibile soltanto perchè era l’ultimo termine logico degli errori predicati dai filosofisti. Erasi maledetto a Luigi XIV che disse, Lo Stato son io, ed essi dissero, Lo Stato siamo noi: erasi imprecato alle dragonate con cui egli puniva come ribelle chi professava un culto diverso; ed essi strozzarono, scannarono per violentare le coscienze.


III.


Tra questo vortice di fatti e di idee il giovane Buonaparte cresceva, certamente senza rendersene ragione non più degli altri contemporanei, ma attento a profittarne. Durante ancora il vecchio regime, egli avea preferito la carriera dell’armi, e la cominciò nella scuola militare di Brienne, poi in quella di Parigi, ove nel 1785 fu nominato sottotenente nel 4.° reggimento degli artiglieri, e capitano