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sistono nè il partito spinto nè quello soverchiato. Questo re, omai detronizzato e servo d’un’assemblea, potette sanzionare un atto, qual non avrebbe osato Luigi XIV e neppur Pietro di Russia, abolendo tutti i privilegi dalle varie provincie, riducendo la Francia ad una grande spianata, ove l’aratro dell’amministrazione potesse volgersi e rivolgersi senza ostacolo veruno di libertà locali, di tradizioni, di parlamenti. I campioni più onesti od allibivano in faccia al popolo, o credeano con Rosseau che il popolo mai non s’inganna e non ha d’uopo d’aver ragione: non avvertendo come nessun despota può pretendere il sagrifizio della ragione e della coscienza; e come per popolo si scambii troppe volte una ciurma strepitante e un pugno d’intriganti. Bailly, tanto onest’uomo quanto illustre scienziato, vide gli orrori della rivoluzione senza cessar d’ammirarla e servirla, e nelle sue Memorie notava: — Non mi ricordo più della mia ragione quando la ragion generale si pronunziò; prima legge è la volontà della nazione; dacchè essa fu radunata, non conobbi che questa volontà sovrana». Tale culto, che facilmente diviene superstizioso, spiega molte debolezze di altri eroi d’allora e d’oggi.

L’Assemblea col nome di Costituente parve imporsi di disfare tutto, e impiantare un ordine nuovo. Da qui la necessità di urtare le due istituzioni vitali, il re e la Chiesa; ma non volendo di esse privar la patria, le scarmigliò, e pretese rimpastarle a suo talento.

Inoltre accettò come mezzo di progresso sociale il disordine. Il quale per tal via straripò onnipotente a dissolver il corpo sociale, mentre impotenti rendeansi gli argini oppostigli. E appunto l’incapacità al resistere è il carattere dei conservatori in quell’assemblea. Erano da 600 fra nobili ed ecclesiastici, ma il clero se ne ritirò quando si volle obbligarlo a prestare giuramento alla costituzione civile della Chiesa. I diritti più legittimi non erano sostenuti che da parole superbe, futili speranze, insensate pretensioni, collere impotenti, mentre erano attaccati da tutte le braccia con una furia che non soffriva ostacoli, e ch’era spinta da un branco di scellerati. I nobili formavano la parte più chiassosa ma meno attiva; stizziti contro il trascendere del movimento, non accordavansi a frenarlo; protestavano sempre, senza mai discutere; onde non seppero nè arrestar la rivoluzione, nè moderarla. Esosi alle classi basse che avevano tiranneggiate; privi di fermezza religiosa, non v’ebbe alcuno che incoraggiasse Luigi XVI a opporsi alla costituzione del clero,