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pasquale paoli | 273 |
clami che spandeva, ond’egli tornò in Inghilterra. I Francesi risero di lui; l’Europa tutta ne’ versi del Casti e nella musica di Paisiello ne fece beffe: gl’Inglesi no; ed Orazio Walpole scrisse eloquenti pagine a suo favore; il celebre attore Garrick dedicò a vantaggio di esso una serata, sicchè potette viver oscuro ma libero; e ancora il suo epitaffio rammenta come Fortuna gli diede un regno e gli negò un tozzo.
Giacinto Paoli, caldo patrioto rifuggito a Napoli, vi educava il proprio figlio Pasquale con finezze letterarie e con esempj di virtù, semplicemente generosa e accortamente ardita. Già addestrato nelle guerre della Calabria, esso il mandò a far il suo dovere, cioè a combattere per la patria: e Pasquale, approdato in Corsica non colle spavalderie di re Teodoro; bensì con modesta fermezza e nobile semplicità, meritato la confidenza e il comando supremo, insinua coi detti e coll’esempio che «colla libertà tutto si può soffrire, e a tutto si può trovar riparo»; guida felicemente la guerra, mentre sa frenare col carnefice e coi missionarj una nazione, la cui storia è una sequela di rivolte.
Saverio Matra, offeso del vedersi posposto al giovine Paoli, egli vecchio e discendente da caporali, eccitò la guerra civile sposando la parte di Genova, capitanandone le armi, e spargendo sospetti contro del Paoli; ma perì combattendo. Capi d’insorgenti vittoriosi è troppo facile trovarne: rarissimi invece quelli che sappiano sistemare l’obbedienza, e tale fu il Paoli. Quando venne nominato generale, suo fratello Clemente fece metter i vetri alla povera loro casa in Strella; ma il Paoli li spezzò dicendo: — Non voglio vivere come un conte, ma come gli altri contadini». Scrivendo a suo padre, il chiamava sempre «signor mio»; e già da alcuni anni comandava all’isola quando per lettera gli chiese qualche posata d’argento, e Giacinto gli rispose che Solimano granturco le usava di legno, tagliate da lui stesso. Su un conto del calzolajo, Paoli notava doversi diffalcar il valore del tomajo, perchè era suo. Diceva di stimar più Guglielmo Penn fondatore della Pensilvania, che non Alessandro Magno conquistatore dell’Asia. Preferiva a ogni altra lettura il libro de’ Macabei, che dipinge la resistenza di que’ generosi alla tirannia; e stupiva e fremeva quando gente sensata intitolasse ribelli i suoi Côrsi. Destro a tener vivo l’entusiasmo senza lasciarlo trascendere; devoto sì che mai non ommetteva le preghiere, e anche nella mischia col
Cantù — Illustri italiani, vol. I. |